L'ESSENZA DEL FIUME di Valter Di Giacinto
C’è una nozione, ormai entrata nel senso comune, che impone la completa materialità del reale. Solo ciò che è tangibile esiste, punto.
A una riflessione più approfondita, questa nozione mi appare oggi del tutto infondata. Semmai, sono portato a ritenere piuttosto vero il contrario: solo ciò che è immateriale esiste in maniera profonda ed è la realtà sensibile ad essere denotata da una consistenza labile (nel senso che si squaglierebbe letteralmente come neve al sole una volta che gli venisse sottratta la sua ossatura immateriale).
In due dei miei recenti post ho quindi già provato a ragionare sulla materialità/immaterialità del reale, facendo qualche considerazione sui temi dell’anima e della forma. Stavolta vorrei ancor più nel viso della questione ragionando con voi sull’essenza, concetto a sua volta intimamente legato a quelli di anima e di forma.
Prima di procedere oltre, però, urge a questo punto una doverosa premessa. Se nel condividere queste mie riflessioni mi avvalgo di alcuni concetti presi dalla filosofia greca non è per far sfoggio di erudizione (che non posseggo, se non nei rudimenti), ma semplicemente perché è da lì che tali riflessioni nascono, dalla mia passione di mezz’età per tali straordinari pensatori, in cui ho trovato davvero grande ausilio e conforto. Chiusa parentesi.
Essenza è oggi un termine di uso comune in italiano (tutto merito di S. Tommaso d’Aquino) ma, volendo essere più precisi, in cosa consiste effettivamente l’essenza delle cose e delle persone? Secondo Aristotele essa è ciò che rappresenta l’essere profondo di ogni data entità, ovvero quello che la definisce in maniera inequivocabile, che detta le caratteristiche di cui essa non può essere privata senza che diventi altro da se. È un concetto che probabilmente si comprende ancor meglio laddove si consideri il suo contrario, ossia l’inessenziale, ciò che non appartiene alla natura intima delle cose. Ed è facile vedere come non coinvolga l’essenza tutto quanto ha la natura di puro accidente, ossia tutte quelle caratteristiche che possono presentarsi in un modo o in un altro, o, al limite, non presentarsi affatto, senza compromettere la definizione ultima del soggetto a cui esse afferiscono.
Se ci pensate, se non esistesse un’essenza stabile delle cose non avrebbe neppure senso dargli un nome; non appena decidessimo il nome da assegnare a qualcuno o qualcosa, un istante dopo dovremmo infatti cambiarlo, dal momento che il soggetto in questione non sarebbe ormai più lo stesso di prima. Ed è esattamente questo il comportamento che Aristotele narra tenesse Cratilo, il filosofo del famosissimo Panta rei (che non traduco perché ormai sdoganato pure a San Remo!). Questi se ne andava infatti in giro indicando persone e oggetti col dito, senza mai nominarle.
Ma l’essenza, per fortuna, pare proprio che esista. Proviamo quindi a darne un esempio.
In un suo celebre aforisma Eraclito afferma che “nello stesso fiume noi scendiamo e non scendiamo” (da cui si capisce immediatamente perché lo chiamassero l’oscuro😆).
Per aiutare a risolvere l’arcano vediamo quindi di applicare la concezione aristotelica dell’essenza al caso del fiume. Non un fiume in astratto però (le idee universali sono roba per i platonici), ma questo fiume che immaginiamo di avere in questo momento di fronte a noi. Che cos’è che lo definisce come tale? Una definizione ragionevole potrebbe essere la seguente: questo fiume è il luogo geografico dove si raccolgono le acque di superficie di questa vallata.
Se accettiamo tale definizione, stiamo identificando l’essenza del fiume con la sua funzione: raccogliere le acque di superficie della zona e convogliarle a valle. In base a tale definizione è quindi del tutto accidentale che nel fiume in questo istante scorra tanta o poca acqua, che l’acqua sia torbida o perfettamente limpida, che la temperatura dell’acqua sia alta o bassa, che il fiume di fronte a noi presenti un’ansa a destra o invece a sinistra. Se ci pensiamo bene, costituisce un accidente lo stesso fatto che in questo momento stia effettivamente scorrendo dell’acqua nel fiume. Ciò che è essenziale è infatti che il fiume abbia in potenza la capacità di convogliare le acque presenti nella vallata, non è necessario che tale capacità sia costantemente in atto.
Accantoniamo però questa situazione un po’ paradossale del fiume in secca e, assumendo che in questo momento vi stia effettivamente scorrendo dell’acqua, immergiamoci una prima volta nel fiume. Successivamente, dopo esserne momentaneamente usciti, immergiamoci una seconda volta.
Possiamo dire, la volta successiva, di essere discesi nello stesso fiume? A questo punto è evidente che dobbiamo rispondere certamente di si, se ci riferiamo all’essenza di quel fiume, che certo non è cambiata nel frattempo.
Allo stesso tempo, dobbiamo rispondere negativamente, se ci riferiamo al fiume non come essenza intelligibile, ma come entità concretamente percepita dai nostri sensi, e che quindi si manifesta nelle acque, sempre diverse, che di istante in istante vi scorrono. Di sicuro non ci siamo immersi la seconda volta nelle stesse acque in cui siamo discesi la prima volta e quindi, se intendiamo il fiume in questi termini, dobbiamo dire non è vero che ci siamo immersi due volte nello stesso fiume.
Ecco quindi svelato l’arcano. La mente umana, nel carpire al fiume la sua essenza intelligibile, ci dice che ci siamo bagnati nel medesimo fiume, laddove i sensi ci restituiscono invece in ogni istante un’immagine diversa di esso.
Torniamo adesso per un momento alla nostra definizione dell’essenza del fiume. Vi pare che ci sia qualcosa di materiale in essa? Evidentemente no. Se accettiamo questa definizione dobbiamo riconoscere che l’essenza del fiume è un puro concetto, è forma e non materia.
L’aspetto materiale del fiume si dispiega quindi tutto negli accidenti. E se è quindi vero che per avere il fiume concretamente presente davanti a noi debbono essere contemporaneamente presenti sia l’essenza sia gli accidenti, bisogna riconoscere che l’essenza viene logicamente (e ontologicamente, per gli appassionati di filosofia) prima rispetto agli accidenti. Questi, infatti, afferiscono sempre a una determinata essenza, e non è mai vero il contrario.
È quindi l’essenza immateriale del fiume, la sua definizione formale, che ne fornisce la ragion d’essere, la causa prima. E l’essenza è del tutto immobile, ossia non è soggetta al divenire. La materia del fiume, ossia l’acqua che vi scorre dentro, muta di attimo in attimo, ma la “forma dell’acqua” resta ferma e impassibile allo scorrere del tempo.
Adesso che abbiamo più o meno capito che cos’è l’essenza, vi propongo in conclusione questo semplice esercizio. Rispondere alla seguente domanda: qual è la mia essenza?
Caro Valter, il tuo fiume è in piena e rischia di superare gli argini di questo modesto rigagnolo che siamo noi. Non ti ho chiesto il permesso per la pubblicazione, perché so che ormai il tuo posto è qui, e potrai intervenire tutte le volte che vorrai, con nostro sommo piacere ed onore. Complimenti per le belle cose che scrivi.
A una riflessione più approfondita, questa nozione mi appare oggi del tutto infondata. Semmai, sono portato a ritenere piuttosto vero il contrario: solo ciò che è immateriale esiste in maniera profonda ed è la realtà sensibile ad essere denotata da una consistenza labile (nel senso che si squaglierebbe letteralmente come neve al sole una volta che gli venisse sottratta la sua ossatura immateriale).
Cammino Portoghese (Senda Litoral) - 2018 |
In due dei miei recenti post ho quindi già provato a ragionare sulla materialità/immaterialità del reale, facendo qualche considerazione sui temi dell’anima e della forma. Stavolta vorrei ancor più nel viso della questione ragionando con voi sull’essenza, concetto a sua volta intimamente legato a quelli di anima e di forma.
Prima di procedere oltre, però, urge a questo punto una doverosa premessa. Se nel condividere queste mie riflessioni mi avvalgo di alcuni concetti presi dalla filosofia greca non è per far sfoggio di erudizione (che non posseggo, se non nei rudimenti), ma semplicemente perché è da lì che tali riflessioni nascono, dalla mia passione di mezz’età per tali straordinari pensatori, in cui ho trovato davvero grande ausilio e conforto. Chiusa parentesi.
Essenza è oggi un termine di uso comune in italiano (tutto merito di S. Tommaso d’Aquino) ma, volendo essere più precisi, in cosa consiste effettivamente l’essenza delle cose e delle persone? Secondo Aristotele essa è ciò che rappresenta l’essere profondo di ogni data entità, ovvero quello che la definisce in maniera inequivocabile, che detta le caratteristiche di cui essa non può essere privata senza che diventi altro da se. È un concetto che probabilmente si comprende ancor meglio laddove si consideri il suo contrario, ossia l’inessenziale, ciò che non appartiene alla natura intima delle cose. Ed è facile vedere come non coinvolga l’essenza tutto quanto ha la natura di puro accidente, ossia tutte quelle caratteristiche che possono presentarsi in un modo o in un altro, o, al limite, non presentarsi affatto, senza compromettere la definizione ultima del soggetto a cui esse afferiscono.
Se ci pensate, se non esistesse un’essenza stabile delle cose non avrebbe neppure senso dargli un nome; non appena decidessimo il nome da assegnare a qualcuno o qualcosa, un istante dopo dovremmo infatti cambiarlo, dal momento che il soggetto in questione non sarebbe ormai più lo stesso di prima. Ed è esattamente questo il comportamento che Aristotele narra tenesse Cratilo, il filosofo del famosissimo Panta rei (che non traduco perché ormai sdoganato pure a San Remo!). Questi se ne andava infatti in giro indicando persone e oggetti col dito, senza mai nominarle.
Ma l’essenza, per fortuna, pare proprio che esista. Proviamo quindi a darne un esempio.
In un suo celebre aforisma Eraclito afferma che “nello stesso fiume noi scendiamo e non scendiamo” (da cui si capisce immediatamente perché lo chiamassero l’oscuro😆).
Per aiutare a risolvere l’arcano vediamo quindi di applicare la concezione aristotelica dell’essenza al caso del fiume. Non un fiume in astratto però (le idee universali sono roba per i platonici), ma questo fiume che immaginiamo di avere in questo momento di fronte a noi. Che cos’è che lo definisce come tale? Una definizione ragionevole potrebbe essere la seguente: questo fiume è il luogo geografico dove si raccolgono le acque di superficie di questa vallata.
Se accettiamo tale definizione, stiamo identificando l’essenza del fiume con la sua funzione: raccogliere le acque di superficie della zona e convogliarle a valle. In base a tale definizione è quindi del tutto accidentale che nel fiume in questo istante scorra tanta o poca acqua, che l’acqua sia torbida o perfettamente limpida, che la temperatura dell’acqua sia alta o bassa, che il fiume di fronte a noi presenti un’ansa a destra o invece a sinistra. Se ci pensiamo bene, costituisce un accidente lo stesso fatto che in questo momento stia effettivamente scorrendo dell’acqua nel fiume. Ciò che è essenziale è infatti che il fiume abbia in potenza la capacità di convogliare le acque presenti nella vallata, non è necessario che tale capacità sia costantemente in atto.
Accantoniamo però questa situazione un po’ paradossale del fiume in secca e, assumendo che in questo momento vi stia effettivamente scorrendo dell’acqua, immergiamoci una prima volta nel fiume. Successivamente, dopo esserne momentaneamente usciti, immergiamoci una seconda volta.
Possiamo dire, la volta successiva, di essere discesi nello stesso fiume? A questo punto è evidente che dobbiamo rispondere certamente di si, se ci riferiamo all’essenza di quel fiume, che certo non è cambiata nel frattempo.
Allo stesso tempo, dobbiamo rispondere negativamente, se ci riferiamo al fiume non come essenza intelligibile, ma come entità concretamente percepita dai nostri sensi, e che quindi si manifesta nelle acque, sempre diverse, che di istante in istante vi scorrono. Di sicuro non ci siamo immersi la seconda volta nelle stesse acque in cui siamo discesi la prima volta e quindi, se intendiamo il fiume in questi termini, dobbiamo dire non è vero che ci siamo immersi due volte nello stesso fiume.
Ecco quindi svelato l’arcano. La mente umana, nel carpire al fiume la sua essenza intelligibile, ci dice che ci siamo bagnati nel medesimo fiume, laddove i sensi ci restituiscono invece in ogni istante un’immagine diversa di esso.
Torniamo adesso per un momento alla nostra definizione dell’essenza del fiume. Vi pare che ci sia qualcosa di materiale in essa? Evidentemente no. Se accettiamo questa definizione dobbiamo riconoscere che l’essenza del fiume è un puro concetto, è forma e non materia.
L’aspetto materiale del fiume si dispiega quindi tutto negli accidenti. E se è quindi vero che per avere il fiume concretamente presente davanti a noi debbono essere contemporaneamente presenti sia l’essenza sia gli accidenti, bisogna riconoscere che l’essenza viene logicamente (e ontologicamente, per gli appassionati di filosofia) prima rispetto agli accidenti. Questi, infatti, afferiscono sempre a una determinata essenza, e non è mai vero il contrario.
È quindi l’essenza immateriale del fiume, la sua definizione formale, che ne fornisce la ragion d’essere, la causa prima. E l’essenza è del tutto immobile, ossia non è soggetta al divenire. La materia del fiume, ossia l’acqua che vi scorre dentro, muta di attimo in attimo, ma la “forma dell’acqua” resta ferma e impassibile allo scorrere del tempo.
Adesso che abbiamo più o meno capito che cos’è l’essenza, vi propongo in conclusione questo semplice esercizio. Rispondere alla seguente domanda: qual è la mia essenza?
Caro Valter, il tuo fiume è in piena e rischia di superare gli argini di questo modesto rigagnolo che siamo noi. Non ti ho chiesto il permesso per la pubblicazione, perché so che ormai il tuo posto è qui, e potrai intervenire tutte le volte che vorrai, con nostro sommo piacere ed onore. Complimenti per le belle cose che scrivi.
Stupenda argomentazione, ammetto di essere stato piacevolmente travolto dalla impetuosa corrente di questo fiume.
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