IL CODICE DEL GENIO
Caro Bruno, grazie per i commenti puntuali ai post con cui ho recentemente cercato di portare il discorso sul tema dell’essenza di cose e persone.
Li ho trovati, come sempre, assai stimolanti, anche ai fini della prosecuzione del dibattito.
Come sottolinei correttamente, ci sono dei requisiti all’apparenza accidentali che entrano talvolta nella definizione della funzione degli oggetti, e che quindi sono da considerarsi essenziali.
Ma si tratta pur sempre di tratti inerenti la forma dell’oggetto, non la materia. Il colore rosso della mantiglia del torero è essenziale in quanto in sua mancanza la stessa perde la sua funzione, che è quella di attirare il toro.
La forma della mantiglia include quindi il suo colore come tratto non accidentale.
Aristotele fa l’esempio della scure: l’essenza della scure è di funzionare come tale. Il materiale di cui è fatta la scure rileva quindi solo se impatta sulla sua funzionalità. Una scure che non incidesse il legno perché fatta di carta semplicemente non sarebbe più una scure.
Ma il materiale con cui è costruita la lama, purché fenda il legno, può essere dei più vari, ed in tal senso ha natura accidentale. Non importa che la scure sia fatta di selce, come nel paleolitico, di bronzo o di ferro, purché espleti correttamente la sua funzione.
Quello che rileva del materiale con cui è fatta la scure sono infatti solo le caratteristiche formali, ossia la rigidità e la possibilità di essere modellato in maniera da assumere un profilo sufficientemente affilato. Sono puri tratti formali, come si vede.
Ma, se queste sono le premesse, qual’è l’essenza di una persona? Non dell’uomo in generale, che è concetto universale, ma quella del singolo individuo.
Difficilissimo da dire, è del tutto evidente, ma cruciale. L’unica cosa di cui sono sicuro è che per l’individuo la propria essenza è questione di vita o di morte. Con l’essenza della persona non si scherza.
Facilmente l’individuo che si vede violato nella sua essenza può addirittura decidere di scegliere la morte, come è accaduto di recente nel caso di Dj Fabo. Se non può più farlo personalmente, perché privo di coscienza, saranno chiamati i suoi parenti a decidere per lui, e proprio questi giorni abbiamo rivissuto, nella ricorrenza del decennale della morte, il caso di Eluana Englaro.
Il suo corpo era ancora in vita ma si decise che quella non era più una vita degna di tale nome, evidentemente perché si riteneva che ne avesse perso l’essenza.
L’essenza dell’uomo non si riduce quindi al soffio vitale che ne anima il corpo. Il corpo in vita, un corpo efficiente, le fa semplicemente da sostrato, ne garantisce l’esistenza, intesa come presenza in atto nel regno delle entità sensibili e divenienti.
Il caso di Steven Hawking che citi è poi interessantissimo. Pur avendo perso pressoché tutte le funzioni autonome del proprio corpo, riuscendo a comunicare solo con il movimento degli occhi, Hawking non era infatti stato intaccato dalla malattia nella sua essenza, che era quella del fisico teoretico, compito che è riuscito a esercitare brillantemente anche in quella condizione.
Le menomazioni fisiche subite da Dj Fabo, che non erano probabilmente di per se stesse assai più gravi di quelle di Hawking, lo hanno però condotto alla decisione del suicidio assistito. Evidentemente la possibilità di essere un animatore di folle di ragazzi dalla console della pista da ballo per lui non era una condizione accessoria, ineriva alla sua essenza intima. La vita contemplativa del mondo delle Idee non si addice evidentemente a tutti.
Assai simile al caso di Hawking e del Dj Fabo mi sembra poi la contrapposizione che proponi tra Beethoven e l’accordatore di pianoforti.
Mentre il genio di Beethoven può continuare a comporre musica da sordo, perché la “sente” con gli orecchi della mente, l’accordatore, perdendo l’udito è vulnerato nella sua essenza, in quanto non è possibile accordare un pianoforte senza che fisicamente le onde sonore dello strumento giungano alle orecchie dell’artigiano.
Quelle onde non nascono infatti nel cervello, devono esservi condotte da un apparato uditivo efficiente.
E’ il demone che ci abita, che detta a ciascuno il suo posto nel mondo, il proprio ergon, il compito che si è chiamati a svolgere.
Ognuno ha il suo e, quando le possibilità di svolgerlo si annullano, la lesione è fatale.
Si può rimanere in vita, ma solo come fantasmi di se stessi. Non ci si ricicla sull’essenza. L’essenza è immobile, non cambia, non si adatta, non evolve. L’essenza è rigida come il codice del DNA. Non ce ne sono due uguali, ognuno ha il suo e se lo tiene per tutta la vita.
Con il mio amico Egidio ho scherzato un po’ indicandogli quello che ritenevo essere il suo genio, ma fino a un certo punto.
Sebbene l’avessi buttata un po’ lì d’istinto (ma ricordiamoci che le persone hanno un sesto senso quando si parla dell’essenza altrui), la sua risposta mi ha dato sostanzialmente ragione e la precisazione che ha fornito è stata per molti versi illuminante.
In quanto ha distinto ciò che era inessenziale (il sindacato) rispetto al tratto fondamentale (comunismo).
Oggi siamo abituati ai peggiori esempi di opportunismo da parte di politici briganti e saltafossi, e quindi tale dichiarazione può apparire sorprendente. Ma per me, che un po’ lo conosco, Egidio non è affatto quel tipo di persona. Se dovesse per qualche accidente, tipo, che so, un lavaggio del cervello a la Arancia meccanica, perdere quel suo tratto essenziale, lo smarrimento conseguente sarebbe profondo.
Non tale da arrivare alle estreme conseguenze del suicidio, immagino, ma tale da poter rendere la vita un trascinarsi indegno e privo di un senso profondo.
Le parole chiave emerse stavolta sono quindi quelle di genio e codice genetico, o codice del genio, come verrebbe da dire con una piccola forzatura etimologica.
Su quest’ultimo, in particolare, sarà opportuno condurre qualche ulteriore riflessione nel seguito.
Li ho trovati, come sempre, assai stimolanti, anche ai fini della prosecuzione del dibattito.
Come sottolinei correttamente, ci sono dei requisiti all’apparenza accidentali che entrano talvolta nella definizione della funzione degli oggetti, e che quindi sono da considerarsi essenziali.
Opera in mostra presso "Nascita di una Nazione", Firenze 2018 |
Ma si tratta pur sempre di tratti inerenti la forma dell’oggetto, non la materia. Il colore rosso della mantiglia del torero è essenziale in quanto in sua mancanza la stessa perde la sua funzione, che è quella di attirare il toro.
La forma della mantiglia include quindi il suo colore come tratto non accidentale.
Aristotele fa l’esempio della scure: l’essenza della scure è di funzionare come tale. Il materiale di cui è fatta la scure rileva quindi solo se impatta sulla sua funzionalità. Una scure che non incidesse il legno perché fatta di carta semplicemente non sarebbe più una scure.
Ma il materiale con cui è costruita la lama, purché fenda il legno, può essere dei più vari, ed in tal senso ha natura accidentale. Non importa che la scure sia fatta di selce, come nel paleolitico, di bronzo o di ferro, purché espleti correttamente la sua funzione.
Quello che rileva del materiale con cui è fatta la scure sono infatti solo le caratteristiche formali, ossia la rigidità e la possibilità di essere modellato in maniera da assumere un profilo sufficientemente affilato. Sono puri tratti formali, come si vede.
Al giorno d’oggi poi potremmo addirittura pensare di costruire una scure laser tipo le spade di Guerre stellari, che, pur non usando materia ma energia per tagliare, continuerebbe pur sempre ad essere una scure.
Ma, se queste sono le premesse, qual’è l’essenza di una persona? Non dell’uomo in generale, che è concetto universale, ma quella del singolo individuo.
Difficilissimo da dire, è del tutto evidente, ma cruciale. L’unica cosa di cui sono sicuro è che per l’individuo la propria essenza è questione di vita o di morte. Con l’essenza della persona non si scherza.
Se si intacca l’essenza la persona si estingue, può rimanere in vita, ma solo come simulacro di se stessa.
Facilmente l’individuo che si vede violato nella sua essenza può addirittura decidere di scegliere la morte, come è accaduto di recente nel caso di Dj Fabo. Se non può più farlo personalmente, perché privo di coscienza, saranno chiamati i suoi parenti a decidere per lui, e proprio questi giorni abbiamo rivissuto, nella ricorrenza del decennale della morte, il caso di Eluana Englaro.
Il suo corpo era ancora in vita ma si decise che quella non era più una vita degna di tale nome, evidentemente perché si riteneva che ne avesse perso l’essenza.
L’essenza dell’uomo non si riduce quindi al soffio vitale che ne anima il corpo. Il corpo in vita, un corpo efficiente, le fa semplicemente da sostrato, ne garantisce l’esistenza, intesa come presenza in atto nel regno delle entità sensibili e divenienti.
Ma l’essenza, e su questo siamo tutti d’accordo, non diviene e non è una cosa sensibile, è fatta della stessa materia dei sogni, per dirla con Shakespeare.
Il caso di Steven Hawking che citi è poi interessantissimo. Pur avendo perso pressoché tutte le funzioni autonome del proprio corpo, riuscendo a comunicare solo con il movimento degli occhi, Hawking non era infatti stato intaccato dalla malattia nella sua essenza, che era quella del fisico teoretico, compito che è riuscito a esercitare brillantemente anche in quella condizione.
Le menomazioni fisiche subite da Dj Fabo, che non erano probabilmente di per se stesse assai più gravi di quelle di Hawking, lo hanno però condotto alla decisione del suicidio assistito. Evidentemente la possibilità di essere un animatore di folle di ragazzi dalla console della pista da ballo per lui non era una condizione accessoria, ineriva alla sua essenza intima. La vita contemplativa del mondo delle Idee non si addice evidentemente a tutti.
Assai simile al caso di Hawking e del Dj Fabo mi sembra poi la contrapposizione che proponi tra Beethoven e l’accordatore di pianoforti.
Mentre il genio di Beethoven può continuare a comporre musica da sordo, perché la “sente” con gli orecchi della mente, l’accordatore, perdendo l’udito è vulnerato nella sua essenza, in quanto non è possibile accordare un pianoforte senza che fisicamente le onde sonore dello strumento giungano alle orecchie dell’artigiano.
Quelle onde non nascono infatti nel cervello, devono esservi condotte da un apparato uditivo efficiente.
L’essenza della persona, in definitiva, mi sembra che abbia proprio a che fare con il genio, ciò che tu definisci “il complesso di qualità che chiamiamo identità della persona” e che i greci chiamavano daimon (demone) e i romani genius (da cui il con-geniale che ti sottoponevo l’altro giorno).
E’ il demone che ci abita, che detta a ciascuno il suo posto nel mondo, il proprio ergon, il compito che si è chiamati a svolgere.
Ognuno ha il suo e, quando le possibilità di svolgerlo si annullano, la lesione è fatale.
Si può rimanere in vita, ma solo come fantasmi di se stessi. Non ci si ricicla sull’essenza. L’essenza è immobile, non cambia, non si adatta, non evolve. L’essenza è rigida come il codice del DNA. Non ce ne sono due uguali, ognuno ha il suo e se lo tiene per tutta la vita.
Con il mio amico Egidio ho scherzato un po’ indicandogli quello che ritenevo essere il suo genio, ma fino a un certo punto.
Sebbene l’avessi buttata un po’ lì d’istinto (ma ricordiamoci che le persone hanno un sesto senso quando si parla dell’essenza altrui), la sua risposta mi ha dato sostanzialmente ragione e la precisazione che ha fornito è stata per molti versi illuminante.
In quanto ha distinto ciò che era inessenziale (il sindacato) rispetto al tratto fondamentale (comunismo).
Oggi siamo abituati ai peggiori esempi di opportunismo da parte di politici briganti e saltafossi, e quindi tale dichiarazione può apparire sorprendente. Ma per me, che un po’ lo conosco, Egidio non è affatto quel tipo di persona. Se dovesse per qualche accidente, tipo, che so, un lavaggio del cervello a la Arancia meccanica, perdere quel suo tratto essenziale, lo smarrimento conseguente sarebbe profondo.
Non tale da arrivare alle estreme conseguenze del suicidio, immagino, ma tale da poter rendere la vita un trascinarsi indegno e privo di un senso profondo.
Le parole chiave emerse stavolta sono quindi quelle di genio e codice genetico, o codice del genio, come verrebbe da dire con una piccola forzatura etimologica.
Su quest’ultimo, in particolare, sarà opportuno condurre qualche ulteriore riflessione nel seguito.
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