ARTE ED ETERNO di Valter Di Giacinto
Wolters Di Giacinto
L'artista non cerca il bello di per se. L'artista mira all'immortalità.
La creazione artistica, come ha fatto splendidamente rilevare Milan Kundera nel romanzo in cui pone appunto a tema l'immortalità, aspira da sempre a sottrarre l'essenza delle cose e delle persone alla corruzione del divenire, consegnandole alla dimensione dell'eterno.
Ma che cos'è che legittima l'aspirazione dell'opera d'arte all'immortalità?
Per capire dove risieda l'eterno nella creazione artistica bisogna lasciare la dimensione fisica per addentrarsi in quella meta-fisica.
Nel dipengere la sagoma delle proprie mani sulle pareti di roccia delle caverne, già gli uomini del paleolitico hanno infatti intuitivamente condotto un esercizio intellettuale a carattere eminentemente meta-fisico, separando per la prima volta la forma intelligibile di un oggetto dal sostrato materiale che la contiene impressa, per trasferirla su di un differente supporto.
La pura forma, non avendo in se alcunché di materiale, ha in se la capacità risponde alla domanda di immortalità da cui origina la creazione artistica.
La mano che ha fatto da modello per la pittura rupestre inevitabilmente si corromperà e scomparirà con il tempo, ma la sua forma, separata da essa e impressa sulla roccia, gli sopravviverà, potenzialmente per sempre.
Cosa impedisce infatti di separare ulteriormente la forma dalla roccia che temporaneamente la ospita per impremerla su di un nuovo sostrato materiale?
La separabilità della forma dalla materia, come sappiamo, si manifesta in maniera esplicita con il processo della copia, che trasferisce appunto la forma dal modello originale alla replica.
Dell'intrinseca riproducibilità della forma si avvale oggi massicciamente l'industria dei beni di consumo.
Apparentemente, essa non fa che riprodurre su larga scala il processo che artisti e artigiani hanno sempre praticato su piccola scala. Imprimere una data forma, a partire da un prototipo, su una serie potenzialmente infinita di esemplari fisicamente distinti ma tutti aventi la medesima configurazione.
Questo vuol dire che anche gli industriali moderni possono essere considerati artisti?
In qualche modo, secondo me, qualcuno lo è anche stato (pensate a Enzo Ferrari o, per gli appassionati di chitarra, a Leo Fender), ma in generale la risposta non può che essere negativa.
L'industria moderna dei beni di consumo, che come sappiamo opera sotto i dettami di un marketing che impone la sempre più rapida obsolescenza programmata di tutti i prodotti, si pone infatti in posizione diametralmente opposta rispetto alla domanda di eterno che è all'origine di ogni produzione artistica.
L'industria è oggi il regno dell'effimero, dell'incessante rincorsa dell'ultima moda, che ha valore solo in quanto ultima nel tempo e non perché sia intrinsecamente migliore o peggiore della precedente.
Ma, attenzione, non si tratta del fatto che la produzione di massa cancelli di per se se, a priori, la possibilità della presenza di un contenuto artistico nei manufatti industriali.
Quest'ultimo si perde infatti solo nel momento in cui i manufatti si riducono ad essere mero alimento di una pletora di acquisti insignificanti, dettati unicamente dall'inesauribile coazione a ripetersi dell'atto di consumo.
Essi quindi non solo non si oppongono più allo scorrere del tempo, ma ne alimentano la corsa vorticosa e insensata, nell'ottica del quotidiano usa e getta imposto dalla necessità di massimizzazione della produzione e dei profitti.
Non conosco bene l'arte moderna, ma mi sembra che essa stessa abbia finito per essere contagiata dal turbinare continuo delle produzioni industriali, per farsi sempre più effimera, come nel caso, ad esempio, di alcune installazioni o dei murales, destinati spesso ad essere presto cancellati o ricoperti, magari dagli stessi autori che originariamente li avevano creati.
L'antico detto che voleva l'ars longa e la vita brevis, appare in definitiva oggi rovesciarsi nel suo contrario.
La vita umana si estende ormai nel tempo in maniera assai più lunga di qualsiasi manufatto e anche di molte opere d'arte.
Commenti: 7
L'artista non cerca il bello di per se. L'artista mira all'immortalità.
La creazione artistica, come ha fatto splendidamente rilevare Milan Kundera nel romanzo in cui pone appunto a tema l'immortalità, aspira da sempre a sottrarre l'essenza delle cose e delle persone alla corruzione del divenire, consegnandole alla dimensione dell'eterno.
Ma che cos'è che legittima l'aspirazione dell'opera d'arte all'immortalità?
Per capire dove risieda l'eterno nella creazione artistica bisogna lasciare la dimensione fisica per addentrarsi in quella meta-fisica.
Nel dipengere la sagoma delle proprie mani sulle pareti di roccia delle caverne, già gli uomini del paleolitico hanno infatti intuitivamente condotto un esercizio intellettuale a carattere eminentemente meta-fisico, separando per la prima volta la forma intelligibile di un oggetto dal sostrato materiale che la contiene impressa, per trasferirla su di un differente supporto.
La pura forma, non avendo in se alcunché di materiale, ha in se la capacità risponde alla domanda di immortalità da cui origina la creazione artistica.
La mano che ha fatto da modello per la pittura rupestre inevitabilmente si corromperà e scomparirà con il tempo, ma la sua forma, separata da essa e impressa sulla roccia, gli sopravviverà, potenzialmente per sempre.
Cosa impedisce infatti di separare ulteriormente la forma dalla roccia che temporaneamente la ospita per impremerla su di un nuovo sostrato materiale?
La separabilità della forma dalla materia, come sappiamo, si manifesta in maniera esplicita con il processo della copia, che trasferisce appunto la forma dal modello originale alla replica.
Dell'intrinseca riproducibilità della forma si avvale oggi massicciamente l'industria dei beni di consumo.
Apparentemente, essa non fa che riprodurre su larga scala il processo che artisti e artigiani hanno sempre praticato su piccola scala. Imprimere una data forma, a partire da un prototipo, su una serie potenzialmente infinita di esemplari fisicamente distinti ma tutti aventi la medesima configurazione.
Questo vuol dire che anche gli industriali moderni possono essere considerati artisti?
In qualche modo, secondo me, qualcuno lo è anche stato (pensate a Enzo Ferrari o, per gli appassionati di chitarra, a Leo Fender), ma in generale la risposta non può che essere negativa.
L'industria moderna dei beni di consumo, che come sappiamo opera sotto i dettami di un marketing che impone la sempre più rapida obsolescenza programmata di tutti i prodotti, si pone infatti in posizione diametralmente opposta rispetto alla domanda di eterno che è all'origine di ogni produzione artistica.
L'industria è oggi il regno dell'effimero, dell'incessante rincorsa dell'ultima moda, che ha valore solo in quanto ultima nel tempo e non perché sia intrinsecamente migliore o peggiore della precedente.
Ma, attenzione, non si tratta del fatto che la produzione di massa cancelli di per se se, a priori, la possibilità della presenza di un contenuto artistico nei manufatti industriali.
Quest'ultimo si perde infatti solo nel momento in cui i manufatti si riducono ad essere mero alimento di una pletora di acquisti insignificanti, dettati unicamente dall'inesauribile coazione a ripetersi dell'atto di consumo.
Essi quindi non solo non si oppongono più allo scorrere del tempo, ma ne alimentano la corsa vorticosa e insensata, nell'ottica del quotidiano usa e getta imposto dalla necessità di massimizzazione della produzione e dei profitti.
Non conosco bene l'arte moderna, ma mi sembra che essa stessa abbia finito per essere contagiata dal turbinare continuo delle produzioni industriali, per farsi sempre più effimera, come nel caso, ad esempio, di alcune installazioni o dei murales, destinati spesso ad essere presto cancellati o ricoperti, magari dagli stessi autori che originariamente li avevano creati.
L'antico detto che voleva l'ars longa e la vita brevis, appare in definitiva oggi rovesciarsi nel suo contrario.
La vita umana si estende ormai nel tempo in maniera assai più lunga di qualsiasi manufatto e anche di molte opere d'arte.
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