ANIMA di Valter Di Giacinto
Wolters Di Giacinto 17 febbraio alle ore 11:01
Spiacente, caro Mr. Curtis, ma anime morte è un ossimoro, una contraddizione in termini se, come tutti pensano, l’anima è immortale. O non è vero che tutti la pensano in questo modo?
La concezione di anima che attualmente ancora prevale in occidente è sostanzialmente quella di Platone (che a sua volta l’aveva elaborata a partire da tradizioni più antiche). Questa fu recepita in seguito dalla dottrina cristiana, principalmente per opera della mediazione operata da Sant’Agostino e, per questa via, essa è arrivata ai giorni nostri. Per Platone l’anima, almeno nella sua componente più elevata (quella razionale), è altro dal corpo, esiste indipendentemente dal corpo, lo abita per un certo periodo e poi lo abbandona al momento della morte, per trasmigrare in un altro corpo (da notare che la reincarnazione non è passata nella teologia cristiana, che ha dovuto far convivere l’immortalità delle anime con l’attesa della risurrezione dei corpi veicolata dalle sacre scritture).
L’anima è quindi immortale. L’individuo concreto, inteso come unione di spirito e corpo muore - esattamente nel momento in cui l’anima si separa dal corpo - ma l’anima in se non muore. Pur partendo da una base comune, anche su questo punto Aristotele ha tenuto a distinguersi dal suo maestro Platone. Anche per lui l’anima ha quindi natura spirituale (è pura forma) e non materiale, come sostenuto all’epoca dagli atomisti. Tuttavia per Aristotele l’anima non esiste indipendentemente dal corpo, ossia, usando il suo lessico, l’anima non è separabile dal corpo. L’anima individuale si genera unitamente al corpo, al momento del concepimento, e si estingue, seguendo le sorti del corpo, con la morte.
Ma come si genera l’anima dell’individuo? Essa passa dai genitori (in realtà solo dal padre per Aristotele, che, come tutti i suoi concittadini, peccava un po’ sul versante del femminismo 😉) ai figli. I genitori tuttavia hanno a loro volta ricevuto l’anima dai propri genitori e così via nei secoli dei secoli. Se ci pensiamo un attimo, il meccanismo di trasmissione dell’anima in Aristotele tra le generazioni non è quindi molto diverso da quello della trasmigrazione/reincarnazione che aveva in mente Platone. Solo che in questo caso tutto quanto si svolge a livello terreno.
Ma, se gli individui ricevono l’anima dai predecessori, in che misura l’anima è di loro proprietà, e non appartiene invece alla specie di cui essi sono espressione? L’anima, sebbene sia mortale nell’individuo, si preserva infatti a livello della specie. Tuttavia ciò avviene solo fino a che esiste al mondo almeno una coppia di individui, maschio e femmina, non sterili, ossia in grado di trasmettere l’anima della propria specie alle generazioni future. La concezione aristotelica attribuisce quindi a ogni singolo individuo vivente (che per Platone è poco più di un’ombra) un compito di straordinaria grandezza. Ciascuno è infatti custode dell’anima della propria specie, che non esiste di per se e sarebbe destinata a scomparire nel momento in cui non esistessero più individui in grado di riprodursi.
E’ a questo che pensava Ian Curtis, all’estinzione della specie umana?
Se la risposta è affermativa, anche solo in maniera metaforica, allora l’ossimoro di partenza era solo apparente. Le anime possono morire.
Joy Division - Dead Souls
Someone take these dreams away, That point me to another day, A duel of personalities, That stretch all true realities. That keep calling me, They keep calli...
Spiacente, caro Mr. Curtis, ma anime morte è un ossimoro, una contraddizione in termini se, come tutti pensano, l’anima è immortale. O non è vero che tutti la pensano in questo modo?
'They were complaining about the cold' ... Joy Division, by Kevin Cummins, on the Princess Parkway, Hulme, Manchester, 6 January 1979 |
La concezione di anima che attualmente ancora prevale in occidente è sostanzialmente quella di Platone (che a sua volta l’aveva elaborata a partire da tradizioni più antiche). Questa fu recepita in seguito dalla dottrina cristiana, principalmente per opera della mediazione operata da Sant’Agostino e, per questa via, essa è arrivata ai giorni nostri. Per Platone l’anima, almeno nella sua componente più elevata (quella razionale), è altro dal corpo, esiste indipendentemente dal corpo, lo abita per un certo periodo e poi lo abbandona al momento della morte, per trasmigrare in un altro corpo (da notare che la reincarnazione non è passata nella teologia cristiana, che ha dovuto far convivere l’immortalità delle anime con l’attesa della risurrezione dei corpi veicolata dalle sacre scritture).
L’anima è quindi immortale. L’individuo concreto, inteso come unione di spirito e corpo muore - esattamente nel momento in cui l’anima si separa dal corpo - ma l’anima in se non muore. Pur partendo da una base comune, anche su questo punto Aristotele ha tenuto a distinguersi dal suo maestro Platone. Anche per lui l’anima ha quindi natura spirituale (è pura forma) e non materiale, come sostenuto all’epoca dagli atomisti. Tuttavia per Aristotele l’anima non esiste indipendentemente dal corpo, ossia, usando il suo lessico, l’anima non è separabile dal corpo. L’anima individuale si genera unitamente al corpo, al momento del concepimento, e si estingue, seguendo le sorti del corpo, con la morte.
Ma come si genera l’anima dell’individuo? Essa passa dai genitori (in realtà solo dal padre per Aristotele, che, come tutti i suoi concittadini, peccava un po’ sul versante del femminismo 😉) ai figli. I genitori tuttavia hanno a loro volta ricevuto l’anima dai propri genitori e così via nei secoli dei secoli. Se ci pensiamo un attimo, il meccanismo di trasmissione dell’anima in Aristotele tra le generazioni non è quindi molto diverso da quello della trasmigrazione/reincarnazione che aveva in mente Platone. Solo che in questo caso tutto quanto si svolge a livello terreno.
Ma, se gli individui ricevono l’anima dai predecessori, in che misura l’anima è di loro proprietà, e non appartiene invece alla specie di cui essi sono espressione? L’anima, sebbene sia mortale nell’individuo, si preserva infatti a livello della specie. Tuttavia ciò avviene solo fino a che esiste al mondo almeno una coppia di individui, maschio e femmina, non sterili, ossia in grado di trasmettere l’anima della propria specie alle generazioni future. La concezione aristotelica attribuisce quindi a ogni singolo individuo vivente (che per Platone è poco più di un’ombra) un compito di straordinaria grandezza. Ciascuno è infatti custode dell’anima della propria specie, che non esiste di per se e sarebbe destinata a scomparire nel momento in cui non esistessero più individui in grado di riprodursi.
E’ a questo che pensava Ian Curtis, all’estinzione della specie umana?
Se la risposta è affermativa, anche solo in maniera metaforica, allora l’ossimoro di partenza era solo apparente. Le anime possono morire.
Joy Division - Dead Souls
Someone take these dreams away, That point me to another day, A duel of personalities, That stretch all true realities. That keep calling me, They keep calli...
Grazie Wolters, Giuseppe ed io siamo lieti di ospitare la voce di un "filosofo" appassionato quale tu sei. Siamo in cerca di nuovi stimoli ed il tuo contributo è prezioso. A presto.
RispondiEliminaQuasi dovunque viene riportato erroneamente che la foto è di Anton Corbijn mentre si tratta di Kevin Cummins di cui ci fu anche una mostra qui a Bologna qualche anno fa.
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