STARE BENE
Già non sappiamo se esista la felicità; figuriamoci se può avere senso chiedersi se essa sia una condizione permanente, che duri nel tempo indefinitamente o se invece sia breve quanto “l’espace du matin” o addirittura come un brivido, un fremito che ci attraversa, impetuoso come il vento, che per un attimo ci toglie il respiro ed è così intenso da darci una fitta al cuore (né sappiamo perché questo avvenga), per poi mollarci e lasciarci defessi.
La religione dei nostri padri dedica bei capitoli alla ricerca di quella che chiamiamo felicità attraverso la predicazione di Cristo, col famoso discorso della montagna in cui si parla delle beatitudini e la parola di S. Francesco che spiega a frate Leone, cosa sia la perfetta letizia. In entrambi i testi, leggiamo che, in una visione che trascende l’umano, per star bene, bisogna essere in pace con sé stessi e questa pace si può raggiungere soltanto superando i limiti che sono in noi, aiutati dalla grazia divina. Ovviamente questa è una condizione che si può ottenere soltanto in un’altra dimensione, che non è quella terrena. Abbiamo visto santi raggiungere la beatitudine attraverso il martirio, ma un tale sacrificio non si può chiedere al comune mortale. Lo stato di felicità raggiungibile sulla terra, richiederebbe molto meno, solo che non sappiamo come fare ad individuarlo. Spesso il riconoscimento è postumo: ci accorgiamo di essere stati felici o comunque in uno stato di maggiore benessere, quando questo è passato, come un rimpianto.
La nostra principale occupazione è cercare di procurarci il benessere. Vorremmo stare bene. Perché allora quasi mai lo siamo? Le condizioni ci sono; la natura è stupenda, la vita è bella, le risorse le abbiamo, potremmo essere contenti e goderci quello che abbiamo, che non è poco. Spesso quello che facciamo non ha senso e ci lascia insoddisfatti. la nostra autostima è a livello basso. Non ci accettiamo per quello che siamo. Il punto di partenza per raggiungere uno stato di benessere, che è una cosa terrena, da godere qui e subito, non “post mortem”, sarebbe invece volersi bene. Essere in pace con se stessi, fortificare la propria autostima, cosa possibile solo se facciamo delle scelte coraggiose, radicali. Conformi alla nostra natura, che è fatta di carne e di quel flatus che chiamiamo spirito. La carne che gode fisicamente, del caldo, del freddo, del profumo dei fiori, della voluttà dei sensi; lo spirito, che è sensibile, per quanto invisibile, che si lascia toccare, in un punto che non sappiamo dove si trova, dalla bellezza delle cose, delle forme e da quello che è dietro ad esse, che è oltre la tela dipinta, oltre il muro di parole che è nel libro, muro sul quale ti inerpichi in cerca di una pertugio che ti conduca dall’altra parte e che trovi solo alla fine, con tutte quelle parole alle tue spalle, non finite, non dimentiche. Oppure le note sensibili del violino che ci prendono e ci sommergono come un’onda nel mare. Tutto quello che pur nella limitatezza della nostra condizione fisica, produca il piacere di sollevarci ad una sfera superiore che è quella della creazione e fruizione artistica.
Il benessere è lo stato di massima soddisfazione delle varie componenti della nostra persona, fatta di assenze più che di presenze, assenza di malattie, che assicura la salute fisica e psicologica, l’assenza di disturbi di ogni tipo, di ansie, di angosce, l’assenza di …desideri. I desideri, cioè le cose verso cui tendiamo, che, se colte, danno gioia, se invece non vengono raggiunte, danno delusione e senso di frustrazione, quindi malessere. Benessere che non è l’agio, fatto di comodità, sicurezza economica, larghezza di mezzi. Non è il fitness, né il welfare, entrambi relegati al ruolo ausiliario, lo star bene solo fisicamente o lo star bene socialmente. Ce ne manca per il benessere assoluto. Che forse è la felicità, della quale abbiamo detto che non sappiamo se esista o meno. Ma di benessere all’80, 90 %, potremmo anche accontentarci, non vi pare?
"Stare bene" (Cammino di Santiago portoghese, 2018) |
La religione dei nostri padri dedica bei capitoli alla ricerca di quella che chiamiamo felicità attraverso la predicazione di Cristo, col famoso discorso della montagna in cui si parla delle beatitudini e la parola di S. Francesco che spiega a frate Leone, cosa sia la perfetta letizia. In entrambi i testi, leggiamo che, in una visione che trascende l’umano, per star bene, bisogna essere in pace con sé stessi e questa pace si può raggiungere soltanto superando i limiti che sono in noi, aiutati dalla grazia divina. Ovviamente questa è una condizione che si può ottenere soltanto in un’altra dimensione, che non è quella terrena. Abbiamo visto santi raggiungere la beatitudine attraverso il martirio, ma un tale sacrificio non si può chiedere al comune mortale. Lo stato di felicità raggiungibile sulla terra, richiederebbe molto meno, solo che non sappiamo come fare ad individuarlo. Spesso il riconoscimento è postumo: ci accorgiamo di essere stati felici o comunque in uno stato di maggiore benessere, quando questo è passato, come un rimpianto.
La nostra principale occupazione è cercare di procurarci il benessere. Vorremmo stare bene. Perché allora quasi mai lo siamo? Le condizioni ci sono; la natura è stupenda, la vita è bella, le risorse le abbiamo, potremmo essere contenti e goderci quello che abbiamo, che non è poco. Spesso quello che facciamo non ha senso e ci lascia insoddisfatti. la nostra autostima è a livello basso. Non ci accettiamo per quello che siamo. Il punto di partenza per raggiungere uno stato di benessere, che è una cosa terrena, da godere qui e subito, non “post mortem”, sarebbe invece volersi bene. Essere in pace con se stessi, fortificare la propria autostima, cosa possibile solo se facciamo delle scelte coraggiose, radicali. Conformi alla nostra natura, che è fatta di carne e di quel flatus che chiamiamo spirito. La carne che gode fisicamente, del caldo, del freddo, del profumo dei fiori, della voluttà dei sensi; lo spirito, che è sensibile, per quanto invisibile, che si lascia toccare, in un punto che non sappiamo dove si trova, dalla bellezza delle cose, delle forme e da quello che è dietro ad esse, che è oltre la tela dipinta, oltre il muro di parole che è nel libro, muro sul quale ti inerpichi in cerca di una pertugio che ti conduca dall’altra parte e che trovi solo alla fine, con tutte quelle parole alle tue spalle, non finite, non dimentiche. Oppure le note sensibili del violino che ci prendono e ci sommergono come un’onda nel mare. Tutto quello che pur nella limitatezza della nostra condizione fisica, produca il piacere di sollevarci ad una sfera superiore che è quella della creazione e fruizione artistica.
Il benessere è lo stato di massima soddisfazione delle varie componenti della nostra persona, fatta di assenze più che di presenze, assenza di malattie, che assicura la salute fisica e psicologica, l’assenza di disturbi di ogni tipo, di ansie, di angosce, l’assenza di …desideri. I desideri, cioè le cose verso cui tendiamo, che, se colte, danno gioia, se invece non vengono raggiunte, danno delusione e senso di frustrazione, quindi malessere. Benessere che non è l’agio, fatto di comodità, sicurezza economica, larghezza di mezzi. Non è il fitness, né il welfare, entrambi relegati al ruolo ausiliario, lo star bene solo fisicamente o lo star bene socialmente. Ce ne manca per il benessere assoluto. Che forse è la felicità, della quale abbiamo detto che non sappiamo se esista o meno. Ma di benessere all’80, 90 %, potremmo anche accontentarci, non vi pare?
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