IMMANENZA

Come succede, nel mondo delle idee, quando si incontra qualcosa di importante, è bello tornarci su per approfondire il concetto, e chiarirlo, ampliandolo. Intorno all’ultimo tema ho cominciato con “La seconda venuta”, suggerita da Giuseppe, al quale ho fatto seguire “Parusia”, che ne è il complemento, ed ora mi accingo a portare un ulteriore contributo con lo scritto che segue, partendo dall’ultima frase del precedente, laddove ho auspicato un uso più corrente della parola, “Parusia” in sé un poco ermetica, ed ora riservata ad un circuito molto limitato e specialistico, con il ritorno ad un significato semplice della stessa come sarebbe quello delle origini, non tenendo conto di sovrastrutture di carattere intellettualistico e teologico che le sono state attribuite.

P.P.Pasolini (fotografo ed anno scon.)

Ho usato , forse, un po’ a sproposito, un termine anch’esso in odore di sacertà, di competenza di altre branche, come la filosofia e la teologia che a volte vanno a braccetto, pur da contrastanti posizioni, che è “immanenza”, per escluderne la necessità, nel contesto del discorso senz’altro semplicistico da me proposto ed approdare ad una conclusione che io intravedevo nella introduzione di quella parola, parusia, anche nel discorso di gente semplice, come siamo noi, in forma di oggetto privilegiato, un dono alla nostra condizione di “ignoranti” di cose trascendenti, ecco che già si complica tutto il discorso, fatto per autorizzare noi stessi a farne uso, intendendo però il concetto di “presenza” che essa veicola, nell’ambito dei normali rapporti che intercorrono tra gli umani, senza la pretesa di fare ricorso a categorie che richiederebbero ben altra preparazione. E proponevo esempi facili facili, ai quali altri se ne potrebbero aggiungere. Ma non sono qui per questo.

Torniamo alla nozione di parusia e cerchiamo di capire se il mio richiamo alla immanenza possa avere un senso o meno. Immanente, dal latino “immanens”, participio presente del verbo “immaneo”, formato da “in” e “maneo” , “rimango”, vuol dire qualcosa, da definire, che “sta dentro” alle cose che noi vediamo e di cui abbiamo una conoscenza attraverso i sensi . E’ un concetto filosofico, che nella sua accezione più semplice, si contrappone al corrispondente termine “trascendente”, che nello stesso ambito, ma più propriamente in quello di competenza della teologia, significa “che sta fuori”, al di là di quanto da noi percepito con i nostri sensi, ed è quanto mai difficile da identificare.

La “presenza”, di cui la parola greca “parusia” è l’emblema, non è soltanto l’essere presente in un luogo ed in un certo momento. E’ qualcosa di più, che riempie di senso l’atto dello stare. Come dire, è uno stare qualificato, che dà significato al luogo e all’ora in cui la presenza stessa si percepisce. E per questo la nozione di immanenza mi sembra pertinente. Perché allora io l’ho esclusa?

Forse perché volevo affrancare ogni evento nel quale si verifichi una “presenza”, del benché minimo odore di sacrestia, che il termine, contiene in sé, per via dell’uso quasi esclusivamente ecclesiastico che se ne è fatto. Intendiamoci, non per dispregio della religione, ma per rivendicare la natura laica benché sublimata del termine, nell’accezione platonica. Ben ci sta allora una parola “alta” come parusia per indicare il surplus di valore dato ad un evento storico da un fatto come il ritorno in Italia di Palmiro Togliatti (ma proprio Palmiro si doveva chiamare’? E’ l’unico Palmiro che ho conosciuto in tutta la mia vita), come “presenza” dello stesso nel circuito della politica interna, dopo il volontario esilio in Russia, che tanto influì in Italia sul corso degli avvenimenti successivi alla fine della guerra.

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