CHIAVE DI VOLTA

Questa volta parliamo di volta. Facile bisticcio che non propizia proprio un buon incipit. Volta e non Girardengo come disse Totò in un film, per indicare uno che svolta. E fu bocciato da un vendicativo Alberto Sordi in veste di Presidente della Commissione d’esame che doveva giudicare il poveruomo. La volta indica la svolta, il girare e infatti si usa con le chiavi, dare un giro di volta, o due (si dice anche “mandate”, ma mandate da chi?). Tant’è vero che si dice anche “dare di volta il cervello”, per significare appunto che il cervello ha fatto un brutto scherzo, svoltando alla mattogna.

Untitled, Bologna 2013

Ma la volta è anche quella della stanza ed allora come la mettiamo? Vogliamo immaginare che si chiami così perché fa una svolta rispetto alle pareti, collocandosi sopra, ad angolo retto? Sta di fatto che anche qui ricorre la chiave e alla grande.

Nella incessante lotta tra Psiche e Teknè, mi troverete non propriamente schierato, perché io non sono tra i combattenti, ma piuttosto annoverato, a torto o a ragione, nelle file della retroguardia del primo schieramento, quello che difende le ragioni dell’anima, che mi piacerebbe vedere, come effettivamente accade, non contrapposte alla tecnica, ma congiunte ad essa senza soluzione di continuità. Ciascuna con le sue motivazioni. Quindi il sentimento con la ragione, il cuore col cervello.

Questa premessa può apparire fuori luogo e troppo pretenziosa, a fronte del discorso che ora voglio fare sul tema di cui al titolo, di per sé privo di un interesse particolare, a partire dalla premessa.

La chiave di volta è un concetto nato in ambiente assolutamente tecnico, dove svolge una funzione essenziale ed è diventato, per il solito scivolamento semantico, un concetto altrettanto importante in ambito letterario dove assolve il ruolo di punto di partenza per la comprensione di altri concetti, nonché struttura portante per la validità dell’intera architettura del discorso. Ma anche in altri campi, questo prezioso strumento, svolge un’utile funzione.

Senza una chiave di volta o di arco, in architettura, la costruzione non regge. Si compone di una pietra lavorata e squadrata in modo cuneiforme che inserita nel varco di chiusura dell’arco, regge tutte le altre pietre messe in precedenza. Nel discorso possiamo parlare di principio informatore. Nella situazione più ingarbugliata, si può trovare una chiave di volta, che, individuato un punto essenziale di tutto l’ingorgo, porti alla soluzione degli altri problemi sottostanti. Questa parte essenziale è il principio che informa di sé l’intero assunto.

E’ una chiave e quindi ha il duplice compito di chiudere e di aprire, una porta, un’idea, un manufatto. Quando chiude sostiene l’esistente, quando apre, dà l’impulso a qualcosa che nasce. In tutt’e due i casi, se togliamo il mattone che chiude un’opera compiuta, o sul quale si regge una nuova costruzione, l’intero edificio cade.

Come potete immaginare, sono interessato più al secondo aspetto di questo modo di dire, che non riguarda l’arte muraria, ma la concatenazione delle idee. Ho parlato a questo proposito di principio informatore, non so quanto appropriatamente. In effetti c’è una chiave di volta per ogni cosa. E tutto va visto sotto diversi aspetti. Però occorre qualche punto fermo. Una volta si parlava di ideologia. Ora non si usa più, anzi è proibito parlarne. Nel dibattito pubblico, da parte dei nostri politicanti, da tenere distinti dai politici, non si fa che arrovellarsi nelle angustie di poche ideuzze ripetute all’infinito, che indicano quanto in basso sia caduta la nobile arte della politica e della oratoria.

Per me la chiave di volta è un grimaldello. No, dite, vero? E’ troppo dirompente? ‘Mbè, allora ditemi come si fa ad aprire certe porte che di chiavi non ne vogliono sapere. Non vedete che, nonostante il nostro sia il tempo della comunicazione diffusa, incessante, in tempo reale, questo è un mondo chiuso? Ciascuno arroccato sulle sue convinzioni, spesso basate su presupposti sbagliati o falsi, nessuno disposto a prendere in considerazione le idee degli altri.

Non ho la pretesa di essere detentore della verità, né affermare che questa sia unica, tutta da una parte o dall’altra. Ma come si fa a non capire che chi chiede di estendere il Giorno della Memoria, dedicato espressamente a ed esclusivamente al ricordo della Shoà, a tutte le altre stragi e genocidi che si sono verificati nella storia, comprese, aggiungo, quelli biblici, lo fa per una forma sotterranea di antisemitismo, volendo negare l’unicità dei modi e della crudeltà con cui la Shoà fu scientificamente organizzata ed attuata?

O giustificare il comportamento di Salvini nei confronti del problema dell’immigrazione, che, se passa il suo punto di vista sulla chiusura dei porti e la possibilità di disporre il sequestro dei profughi, assisteremo ad infiniti episodi come quelli della Diciotti e della Sea Watch, col fatto che nel 1997, con Prodi a capo del Governo e Napolitano Ministro dell’Interno, sarebbe stato dato l’ordine alla nostra Marina Militare di speronare una nave di profughi, cosa che sarebbe stata la causa delle morte di più di 100 vittime? Tanto ci vuole a capire che è una balla, e che in ogni caso, non giustificherebbe un bel niente, rispetto a quello che sta avvenendo ora? Un torto eventualmente commesso nel passato dall’avversario politico, non può essere portato a dirimente di una malefatta odierna e ancora in corso da parte di chi detiene ora il potere.

Chi ha una chiave di volta per “rivoltare” questo pasticciaccio brutto e mettere una pietra sopra a questa notte che stiamo attraversando? Soprattutto per aprire la mente di tanta gente cui ha dato di volta il cervello e tenere ben salda quella pietra che consente nell’arco di tenere in piedi tutto il palazzo (e non il Palazzo)?

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