SAN BERARDO

Oggi, 19 dicembre, è la festa di San Berardo, patrono di Teramo, un santo locale, già vescovo della città, venerato dai teramani, credenti e non credenti, cosa che desta sempre un po’ di meraviglia. Non credo che c’entri l’amore per l'onomastico, anche se non è da trascurare quello che affermava Alfredo, che da buon ateo, teneva ad onorare il giorno del santo di cui portava il nome più di ogni altro.

Foto di famiglia (epoca e fotogr. scon.)

Dalle scarne notizie che su di lui si hanno, si apprende che nacque intorno alla metà del secolo XI, nel pieno Medio Evo, da famiglia nobile, i Pagliara di Castelli, che si fregiavano del titolo di conti. Nei pressi dell’abitato di quel paesino, noto per le ceramiche artistiche, restano ancora pochi reperti del castello nel quale abitava detta famiglia che governò sulla Valle Siciliana, così detta forse per via di una migrazione di gente originaria della Trinacria, colà stabilitasi, alle falde del Gran Sasso, con senno e magnanimità e dette alla chiesa ben due santi, Berardo e la sorella di lui Colomba. Berardo morì nell’anno 1123 settimo del suo episcopato, lasciando un ricordo indelebile per il bene fatto alla città e al territorio posto sotto la sua cura.

Nel periodo storico che va dagli ultimi decenni del se. XI ed i primi del XII, quelli in cui i Pagliara e Berardo in particolare, svolsero la loro opera, le condizioni di vita della popolazione non dovevano essere molto buone. Teramo all’epoca era ancora chiamata “Interamnia Pretutiorum” che tradotto in volgare significò la città di tutti i Pretuzi. L’evoluzione di questo termine dette il nome alla regione attuale, di cui Teramo è Capoluogo di Provincia: da Pretutii, a Pretutti, Pretuzzi, Pruzzi, Aprutii, Aprutis ed infine Abruzzo.

La lingua era ancora il latino, corrotto della fine dell’Impero e dei barbarismi dei popoli invasori, Goti e Visigoti, dei quali si disse, a mo’ di apologo, che se era dei dominatori il depredare, il distruggere era solo dei barbari. Il Duomo di Teramo non era ancora costruito; l’opera, inserita tra i capolavori dell’architettura italiana, sarà iniziata dopo la morte di Berardo, nel 1158, e quindi dobbiamo immaginare che il vescovo Berardo officiasse le funzioni solenni nella Antica Cattedrale di Sancta Maria Aprutiensiis, la cui costruzione risale al IX sec., edificata sui resti di un antico tempio pagano.

Ignoro in quale punto della città in quel tempo avesse sede il Vescovado, ma immaginando che esso si trovasse pressappoco dove si trova ora, mi piace pensare che il Vescovo, affacciandosi al balcone del suo palazzo, per benedire il suo popolo, potesse vedere i resti, se erano già allora diventati, come oggi sono, resti, altrimenti i due monumenti nella loro integrità, del Teatro e dell’Anfiteatro Romani, risalenti, il primo al I sec. a.C., ed il secondo al I sec. d.C., con una battuta si potrebbe dire, entrambi, “durante Cristo” o giù di lì.

Dicevo sopra, che la festa di S. Berardo è molto sentita dalla popolazione teramana per quel che egli a quel tempo fece di buono in favore della città. Anche se non abbiamo le prove di un qualche gesto epico, come per esempio quello dell’episodio forse leggendario di Leone Magno che affrontò Attila e lo convinse a non invadere l’Italia, raffigurato da Raffaello in un famoso affresco conservato in un palazzo vaticano, possiamo lo stesso immaginare che qualcosa del genere possa essere accaduto da parte del vescovo Berardo in difesa delle popolazione teramana contro l’invasione dei barbari, opponendo la sua persona e le insegne del suo grado, oltre naturalmente all’ostensorio ecclesiastico. In fin dei conti egli era vescovo e conte, magari un cavaliere della chiesa.

Era quella l’epoca in cui ebbe inizio il fenomeno che andò sotto il nome di Crociate (questo termine però fu usato per la prima volta secoli dopo), otto o nove spedizioni organizzate dalla Chiesa cattolica, con la benedizione di vari Papi succedutisi nel tempo, nell’arco di tre secoli, di cavalieri europei contro gli stati islamici che detenevano i luoghi sacri della predicazione di Gesù, col fine di liberarli e restituirli alla cristianità. La prima crociata partì nel 1095, dopo che Urbano II, in occasione di un concilio tenuto in Francia nel monastero di Clermont, ebbe l’idea di invitare i vari responsabili degli Stati europei, sempre in lotta tra loro, a cessare ogni ostilità fra cristiani e rivolgere invece le loro armi contro i Paesi islamici che avevano usurpato i luoghi del Santo Sepolcro di Cristo. Non sappiamo nulla però di un eventuale coinvolgimento di Berardo allora non ancora vescovo, in questa o in altre campagne contro i musulmani, nemmeno sotto il profilo di un’adesione spirituale, o men che tale, all’ideologia di guerra di religione che così si instaurò in tutto l’occidente.

Passando ora al modo in cui in questa città si onora il Santo Patrono, al di là della celebrazione di messe e cerimonie varie, riferisco solo un piccolo particolare che riguarda la mia famiglia allargata a zii e cugini.

Lo zio Berardo, il non dimenticato Comandante del Corpo dei Vigili Urbani di Teramo, al pari del mio amico Alfredo, sopra ricordato, amava molto onorare il giorno del proprio onomastico, ed in quella occasione, faceva preparare un pranzo speciale, fatto in famiglia, con pochi ospiti, tra i quali, da un certo anno in poi, fui ammesso anche io, con tutti gli onori e la cosa mi fece molto piacere. Unico tra i nipoti a godere di quel privilegio, per me stare a tavola in una così nobile compagnia, insieme ai miei cugini più cari, era la cosa migliore che mi potesse capitare.

Zio Berardo era una persona imponente, gioviale, ma le sue chiamiamole così, imprese sono quasi sempre relative a fatti avvenuti a tavola, per banchetti memorabili ossequiati come cerimonie, in raccoglimento festoso con gli amici che avevano la sua stessa passione. Su certe cose, però, diventava pignolo, esigeva una precisione assoluta: in occasione del suo onomastico, chiedeva che le tagliatelle fossero della dimensione, larghezza e spessore perfettamente corrispondente ad una fettuccia di un certo tipo di cartoncino che ritagliava personalmente, con grande attenzione e precisione (lo zio era geometra) e poi affidava al figlio Walter, (gli altri si rifiutavano di eseguire l'incombenza), col compito di mostrarlo alla pastaia e chiedere che la pasta venisse tagliata esattamente come da modello. Come dire quando uno ha le idee chiare su quel che vuole!

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