LA DISCENDENZA 22

“Discendenza” forse non è la parola giusta, se con essa ci riferiamo a quella linea diretta, che va da padre in figlio, attraverso molte generazioni. Nel caso dei due gruppi familiari dai quali è estratta la storia della mia famiglia, se si vuole indagare sulle radici, a voler cercare la vera discendenza, si va ben poco lontano; ci fermiamo ai primi gradini. Non si riesce a risalire oltre qualche labile ricordo di nonni, per quelli della mia generazione; di bisnonni per i discendenti, i quali però non sanno nulla di loro. E lì ci fermiamo. Quella che ho fatto nelle puntate precedenti, è invece più che altro una carrellata su personaggi che fanno parte di rami collaterali degli stessi gruppi, per lo più di una sola generazione, che poi è quella che ha preceduto la mia, di cui ora non rimane nessuno. Mi è sembrato comunque utile parlarne per favorire la conoscenza di noi, fra di noi, perché questi ricordi dicono un poco, da dove veniamo, anche se la memoria è corta, cosa abbiamo fatto e cosa facciamo, cosa ci accomuna al resto del mondo, chi siamo e perché lo siamo.



Non sono fantasmi quelli che io ho cercato di evocare, ma persone vere, che hanno vissuto, che hanno dato il meglio o il peggio di loro e dei quali non possiamo fare a meno. Essi ci appartengono, fanno parte di noi. Zia Gina, quando iniziava uno dei suoi racconti frutto della sua esperienza di ragazza di campagna che aveva passato molto tempo ad ascoltare le parole dei vecchi e delle vecchie di paese, ricche di antica saggezza, faceva riferimenti temporali che per noi - allora – non avevano senso. Lo zio Orlando, allora, grande dissacratore beffardo, usava interromperla, per prenderla in giro, chiedendole: “Chi era sindaco?”, fingendo un interesse reale per l’epoca alla quale lei si stava riferendo, cosa che faceva andare su tutte le furie la nostra buona zia. Questo per dire che mi piacerebbe ricordare ogni minimo particolare di quel tempo, perché ogni attimo è prezioso. Su ognuno si potrebbe scrivere un romanzo, a starci un romanziere. Il panorama era abbastanza vasto anche geograficamente: zia Gina era di Città Sant’Angelo, zio Orlando di Larino, zio Pino di Forlimpopoli, zio Giosafatte (il fuggitivo) di Barletta.

Di zia Gina, molte volte ho pensato di fare una raccolta di tutti i suoi detti memorabili, buoni tutti, uno per ogni occasione, freschi, originali, appropriatissimi. Ma non l’ho mai iniziata, forse questa è la volta buona. Sono motti, proverbi, modi di dire, ossimori, paradossi, per lo più assiomi. Rigorosamente in dialetto cittasantangelese, via via, col passar del tempo, sempre più in teramano doc. Penso che la intitolerei “Lu gelatin’ d’ Francisc’ “, di cui mi resta un ricordo vago, che lei lo ripeteva spesso, ma non so a quale proposito. Comunque la lista non potrebbe non cominciare dal classico “Lu geni-i’ è come l’acc’dent’, a chi cojie e a chi non cojie’ ”.

Ho parlato poco di mia madre e di mio padre, forse perché di loro mi sono occupato in altre circostanze, ma ugualmente mi riprometto di dire qualcosa su di loro che non sia il ritratto stereotipato che si può vedere sulla loro lapide. Anche quella, del resto, forse non è presente nella mente dei miei figli, perché noi, Fiorella e io, non abbiamo inculcato loro quello che i nostri genitori hanno insegnato a noi, il culto dei morti, ed ora essi sono senza radici.

Può darsi che con i notevoli passi avanti fatti dalla società, la nostra sempre un po’ in ritardo rispetto a quella degli altri Paesi occidentali, con il superamento di tanti tabù, specialmente in campo familiare e sessuale, i legami fra i diversi componenti dei nuclei familiari si stiano sfilacciando fino a perdersi. La letteratura ed il cinema ci mostrano come normali casi di figli che non conoscono i genitori. Il grande scrittore francese Patrik Modiano, in molti dei suoi libri, accenna ad un padre che il protagonista della storia insegue lungo le strade di Parigi o comunque di Francia, di un padre sfuggente, che non vede da molto tempo e che crede di riconoscere dal finestrino di un treno in un uomo che aspetta ad una stazione della metropolitana. Fratelli che si allontanano e si perdono senza mai più ritrovarsi. Non so se l’arte precede la realtà, ma io credo che da noi le cose non siano ancora arrivate a questo punto. Vi è stata però la frantumazione della famiglia patriarcale in tante famiglie unicellulari e questo ha favorito un certo allontanamento di ognuna dal centro.

Il mio quindi sarebbe un estremo tentativo di recuperare il tempo perduto; perdonatemi se non sono Marcel Proust e non avendo le sue capacità, oso ugualmente mettermi sulle sue tracce. Voglio dire che mi piacerebbe che i miei figli avessero più ragguagli sui miei genitori, i miei parenti, gente con la quale sono cresciuto e mi sono formato, per sentirli più vicini e attraverso loro conoscer meglio me. Io che come loro, non ho avuto la fortuna di conoscere i miei nonni e nessuno mi ha parlato di loro ed ora (con molto ritardo) ne sento la mancanza.

Quelle che seguono sono cose che ho scritto qualche tempo fa, che attengono al discorso che sto cercando di fare non senza qualche difficoltà. Le ripropongo per un motivo di collocazione. Credo che qui sia il loro posto.


Caro papà,
Così ti chiamavo quando ero bambino e tu mi sembravi tanto tanto grande. Ora le cose si sono invertite e suona un po' strano che un uomo di 80 anni si rivolga ad un altro uomo di 57 anni chiamandolo papà.

Oggi è l'anniversario della tua scomparsa e facendo un po' di conti, mi accorgo che sono passati da allora giusto altri 57 anni, per cui oggi avresti il doppio della tua età.

Ma indipendentemente dall'età, ricordo che la malattia ti aveva molto debilitato, e penso che le tue condizioni di allora e le mie di ora non siano poi tanto diverse. Per cui vorrei parlarti alla pari, stabiliamo di avere entrambi un'età fittizia, né troppo giovane, né al contrario molto avanzata, un'età ideale in cui possiamo parlare da uomo a uomo, come non abbiamo mai fatto.

Immaginiamo di incontrarci nel mio studio, non riesco a pensare ad altro; il tuo studio, quello della casa dove siamo vissuti insieme non esiste più. Mi intrattenevo molto volentieri, al tuo posto, nei momenti in cui tu non lo occupavi e dopo, quando purtroppo non avevo più il piacere di trovarti là, ho preso a frequentarlo abitualmente, l'ho considerato come fosse mio, mi ci sono trasferito per preparare i miei esami all'università. Mi ci sono laureato, all'ombra di quel gigante che ai miei occhi eri tu.

Certo quel luogo sarebbe più adatto, tu ti sentiresti a casa tua, io lì andrei a ritrovare le mie radici. lì tante volte ci siamo incontrati ed abbiamo parlato. Con poche parole per la verità, non siamo mai stati tanto loquaci. Più con gli sguardi, forse. Ci bastava stare vicini e sentire che tra di noi correva una corrente di affetto e di simpatia. Da parte mia anche di rispetto, da parte tua una considerazione che era quasi una segreta forma di complicità che mi spingeva ad avanzare le mie richieste. Sì perchè so di essere stato uno che richiedeva molto, ma tu eri così accondiscendente verso i miei desideri, rivolti a cose futili, ma ideali. Ti ricordi, pà del box di quattro Lp dedicati all'Autobiografia di Louis Armstrong? Tu non eri per la musica jazz, ma tolleravi; o quando venni ad insistere per comprare i due volumi del romanzo di James Jones "Da qui all'eternità", di James Jones, dei quali non potevo fare a meno dopo aver visto il film con Burt Lancaster, Frank Sinatra, Montgomery Clift ("Prew", quello che leggeva l'Ulisse di James Joyce, il libro che poi a lungo è stato anche per me oggetto di desiderio), Debora Kerr e Ernest Borgnine, il cattivo sergente?

Tu sorridevi ed accondiscendevi, facendo sacrifici, certo, perchè non abbiamo mai navigato nell'oro.

Dunque facciamo che siamo nel tuo studio, tanto è tutto immaginato e posso anche pensare di farlo rivivere quel posto di sogno. Sfogliavo il tuo giornale e poi Epoca che compravi settimanalmente. A me interessavano soprattutto le recensioni dei film che faceva Luigi Rondolino, la politica è venuta dopo. Però mi piaceva informarmi di tutto. poi abbiamo parlato di Boris Pasternak, ricordi? Il caso letterario di quegli anni, il Premio Nobel tanto contestato, tu lo leggesti con fatica, eri già molto malato, io ero entusiasta della versione cinematografica del Dottor Zivago, con Omar Sharif e Juley Christie.

Questi sono ricordi condivisi, ma io vorrei chiederti di quando eri bambino a Città S. Angelo, di nonno Saverio, tuo padre e nonna Rita, tua madre, di tuo fratello Luigi, tua sorella Gaetana e poi Gina, la nostra Gina che è stata sempre con noi.

I tuoi amici, i tuoi studi, il concorso magistrale che facesti a Teramo (il capoluogo era Teramo allora, Pescara doveva ancora venire, me lo dicevi ogni volta) ,dove incontrasti Olga che poi fu nostra madre, i primi anni di insegnamento fatti a Gesso Palena, nell'entroterra chietino. Insomma tutto quello che di te non so.

Ed anche di quello che non ci siamo detti quando potevamo, nei lunghi silenzi, ognuno preso dalle sue preoccupazioni. Io con i miei egoismi di adolescente, tu preso dall'angoscia per come si stavano mettendo le cose per te e per tutta la famiglia.

Tu certo mi chiederesti cos'ho fatto ed io avrei difficoltà a risponderti, cos'ho fatto nella mia vita? Nulla di tanto eclatante. Ho cercato di essere onesto e fare il mio dovere, ma certo tu ti saresti aspettato di più. Sì ho continuato a leggere, come a te piaceva fare e a me hai insegnato a fare. Forse la cosa più rilevante della mia vita, che mi ha sostenuto sempre ed ha alimentato i miei sogni. Non sogni di ricchezza, ma sogni di grandezza: era grande tutto ciò che accadeva intorno a me.

Ma ce la siamo cavata, vero pà? La prossima volta porterò con me qualche libro e ti aggiornerò su tutte le novità. Dove? Nel sogno che verrà.

Ciao caro padre ) a proposito, lo sapevi? ciao viene da schiao, schiavo e significa 'schiavo tuo', un modo di salutare sul tipo del siciliano 'bacio le mani').

2 marzo 2017


Mi è difficile parlare della zia Gina, perché non so da dove cominciare. E' passato tanto tempo da quando, ragazzi e poi giovani, abbiamo avuto, io e i miei fratelli, la fortuna di avere lei con noi e da quando è scomparsa, nel modo più silenzioso possibile, quasi temesse di dare fastidio. Un giorno è andata a letto per il riposino pomeridiano, e non si è svegliata. Dopo qualche ora mia madre mi ha mandato a chiamare dicendomi "La zia non si sveglia". Era morta, ma sembrava dormisse.

Quando venne a stare da noi, aveva poco più di 25 anni; era una giovinetta che aveva lavorato saltuariamente in alcuni lavori stagionali di campagna nelle tenute dei Coppa-Zuccheri, possidenti nell'agro di Città S. Angelo, allora provincia di Teramo, come la raccolta del tabacco e pochi altri. Aveva frequentato soltanto le prime classi della scuola elementare e quindi non era istruita, ma era dotata di grande intelligenza. Si era formato un bagaglio di conoscenze attraverso la frequentazione dei vecchi del paese, che lei rispettava con venerazione, i quali erano dotati di quella saggezza popolare data dall' esperienza e dalla concentrazione del sapere in motti e proverbi, veri veicoli di cultura reale e da lei appresi in gran numero. Aveva un senso innato di socievolezza ed era indipendente nel giudizio ; si imponeva con autorevolezza nelle più svariate questioni, forte di un saggio pragmatismo sovrano ed intraprendente.

Da noi venne, chiamata dal fratello, nostro padre, dopo la nascita della prima figlia, per dare una mano in famiglia, dato che entrambi i miei genitori lavoravano nell'ambito della scuola elementare e durante il giorno non sapevano a chi affidare la piccola Rita. Dopo Rita, Myriam, Bruno, Vittorio e Maria Gabriella, la nostra famiglia divenne per lei una trappola, dalla quale era sempre più difficile uscire.

In realtà non credo che lei abbia mai desiderato di andarsene; ebbe anche proposte di matrimonio, che rifiutò perché aveva preso parte così attiva alla vita di tutti noi, che si sentiva integrata come un elemento essenziale della famiglia stessa. Ed agiva di conseguenza. Non sempre apprezzata per quanto meritava, perché le sue iniziative, sempre tempestive, facevano sì che il ruolo di mia madre risultasse a volte alquanto messo in ombra, cosa che procurava qualche contrasto-risentimento in famiglia. E se intravedeva qualche sintomo di rigetto, si chiudeva in un mutismo ostile ed ostinato, patologico. Accadeva raramente, ma quando accadeva, erano problemi. lo spirito forte della zia acquisiva in quelle occasioni la dimensione di una furia selvaggia e la sua ostinazione poteva rasentare l'irrazionalità del primitivo. Solo io riuscivo a smussare, sgretolando poco alla volta la fortezza del suo rancore, a riportare la luce e la dolcezza nel suo cuore, perché avevo con lei un rapporto speciale di amicizia e di stima.

La zia Gina, quando rimaneva sola in casa al mattino, mentre sbrigava le faccende domestiche, cantava, cantava a voce spiegata, canti popolari quasi mai canzonette del momento, cantava con voce appassionata, cantava alla luce, al sole, alla vita, esprimeva così il suo immenso amore, la sua dedizione, la sua gioia. Era molto sensibile e delicata, aveva pudore ad esprimere i propri sentimenti e solo quando era sola, riusciva a liberare quello che aveva dentro, cantando. Io l'ho udita rientrando a casa, dalla strada; la sua voce si spandeva in tutto il vicinato. Oppure quando da bambino, qualche volta, al mattino, non andavo a scuola perché malato e rimanevo a letto, in casa solo con lei. Le ore trascorrevano monotone, Ma lei le trasformava in un tempo-spazio irreale, fantastico, col suo canto, che arrivava a me, attraverso le pareti della casa ed io avevo la esatta percezione di dove lei si trovasse a seconda di come la sua voce si affievoliva, o cresceva, Di tanto in tanto si affacciava alla porta della camera, per offrirmi generi di conforto aggiungendo :"Ti serve altro?" poi si ritirava e il suo canto riprendeva a cullarmi nel dormiveglia per buona parte della mattinata il cui lento trascorrere io registravo osservando la lama di sole che entrava dalla finestra, che si spostava sul pavimento, come la lancetta di un orologio, da una parte all'altra della stanza.

Dopo la sua morte, nel nostro piccolo angolo di mondo, la sua voce non si sentì più e nei giorni successivi, pieni di tristezza, scrissi un componimento a lei dedicato, che chiamai "Il canto sospeso", descrivendo il suo come un canto interrotto a metà, di cui l'ultima nota aleggiava ancora nell'aria mentre cresceva l'attesa della ripresa, che non sarebbe arrivata mai.

18 settembre 2016

Mio carissimo padre,
Nel 53° anniversario della tua morte voglio rivolgerti un pensiero che mi piacerebbe tanto tu fossi qui a condividere con me. Quello che sto per dirti è ormai fuori del tempo perché tu sei andato via da tanto, ma è qualcosa che non ti ho mai detto e che ora ti dico come se tu fossi qui ad ascoltare le mie parole..

Sono un tuo estimatore e ti ho voluto sempre bene..

Però so poco di te , della tua vita delle tue aspirazioni dei pensieri, dei sogni che certamente hai avuto e tu sai forse meno di me, se non altro perché mi hai conosciuto per un tempo che è la terza parte della mia vita e quindi tu non puoi sapere quello che sono diventato dopo la tua morte, quello che sono. adesso.

Io di te so che eri buono, che mi amavi, come amavi tutti i componenti della tua famiglia, forse addirittura anche un pochino di più ( non voglio fare torto ai miei fratelli, ma io leggevo nei tuoi occhi una luce che mi sembrava di particolare condiscendenza per me). So che la vita non ti ha trattato molto bene, se si eccettua il piacere della famiglia e la prima giovinezza, quando eri intento a costruirla come la volevi tu, insieme a tua moglie, la mia adorata madre. Ma tutto sommato sei stato sfortunato.

Avevi lasciato il tuo mondo, quello in cui eri nato, il paese, l' ambiente contadino e le ristrettezze economiche delle tua famiglia di origine per meriti scolastici e questo ti aveva consentito di elevarti, ma ti aveva allontanato da tuo fratello, rimasto a coltivare la terra e dalle due tue sorelle.

Avevi conquistato uno status di borghese, un tempo ambito, poi rifiutato, e vedevi davanti a te un futuro luminoso, una moglie devota, i primi figli, la sorella Gina chiamata a stare con te un po' per darle un'occasione, un po' perché ti faceva comodo per dare una mano in casa e così fu...

Io ti ho conosciuto in questa fase, diciamo espansiva e poi nelle successive di progressivo declino per via dei tempi mutati e della salute minata. da una brutta malattia che ti ha reso ingrata la vita e poi ti ha stroncato, togliendoti a noi che avevamo ancora bisogno di te, ancora giovane, ma provato nel corpo e nell'animo

Ignoro tutto della tua vita precedente, quando eri in paese, studente scapigliato, i tuoi primi ardori, i tuoi furori giovanili. Mi tocca immaginare tutto, sulla base di alcune, poche foto che restano di te. Una in particolare in divisa da sottufficiale dell'esercito spavaldamente appoggiato alla sciabola, insieme a due commilitoni.

So della notte in cui sei partito che non avevi vent'anni, all'insaputa dei tuoi, per un'avventura che allora deve esserti sembrata un'impresa eroica, la marcia su Roma coi fascisti, invaghito di idee patriottiche rivelatesi presto un inganno

E io vedo la tua vita successiva sotto l' ipoteca di una delusione a lungo taciuta per i sogni della gioventù che non si erano avverati e gli ideali che vedevi traditi, per le cose fatte che avrebbero dovuto recare merito e invece recarono disonore. Non a te, certo Perché tu non tradisti le tue idee, ma non fosti mai dalla loro parte, avevi il tuo onore da difendere. Ben altro era quello che ti saresti aspettato da quella falsa rivoluzione! e invece fu il trionfo dei peggiori che si fecero avanti e prevalsero. mentre tu ti ritraevi, dalla vita pubblica, dalle parate ridicole, dalle manifestazioni tronfie, dalle falsità di una politica spettacolo che presto sarà dramma e poi tragedia.

Avrei voluto esserti più vicino negli anni della mia adolescenza, quando vagavo in cerca di un punto fermo e non capivo il tuo stato d'animo. Avremmo potuto essere amici, uniti da un sentire comune, io rivoltoso e temerario, tu maestro di buon senso che aveva perso le illusioni, avresti potuto insegnarmi tante cose, e invece abbiamo condotto vite parallele, nel senso che quella dell'uno scorreva a fianco di quella dell'altro, senza incontrarsi mai. Se non nelle rare occasioni di contatti fugaci in cui ti strappavo di mala voglia un consenso, oppure mi allungavi una paghetta extra per le mie stravaganti esigenze, però senza capirle (non le capivo, a pensarci, neanch'io).

Ci è mancato un momento di verità, di apertura in cui avremmo potuto dirci tante cose che avevamo dentro ma non riuscivamo ad esprimere.

E così ti ho lasciato andare senza dirti quello che tu rappresentavi per me al di là del tuo volto gentile, del tuo sorriso, della tua bravura nel disegno che sempre mi stupiva quando con pochi tratti sul foglio creavi un'immagine, del tuo bel modo di scrivere, di tutto quello che eri e che anch'io avrei voluto essere.

E' passato tanto tempo da allora ed io sono arrivato ad un'età alla quale tu non sei potuto arrivare, la vita di noi tutti è molto cambiata, il nostro mondo di allora è completamente scomparso, ma io mi trovo qui a fare i conti con un passato che non si chiude. Il tuo ricordo è ancora con noi e ci guida.

Sono tante le cose che vorrei ancora dirti, ma non per alimentare un rimpianto per quello che avrei voluto essere e non sono stato, ma per farti sapere quello che tuttora .penso di te e il dolore che provo per il fatto di non averti detto queste cose quando avresti potuto ascoltarmi..

Ciao, pà, non so dove tu sei , né dove io andrò, ma se ci sarà dato di incontrarci ancora una volta, non perderò l'occasione di dirti quanto ti ho amato e ti amo

Tuo figlio
Bruno



2 marzo 2013

Passando davanti ad un quadro della sala, mi sono soffermato a guardarlo. E' un vecchio quadro di mio padre che dipingeva con una tecnica personale di acquerello, trattato come fosse un olio. Risale all'epoca della sua giovinezza e raffigura un boschetto di faggi, forse o betulle, attraversato da una stradina che porta fuori, all'aperto in prossimità di un piccolo capanno. Sono affezionato a questo quadro da quando ero bambino ed esso stava appeso nella sala della casa di allora, molto diversa da quella attuale e di cui conservo un indelebile ricordo. Ho voluto portarlo con me, quando mi sono sposato, come unico ricordo tangibile , oltre a un po' di libri, di mio padre, essendo tutti gli altri immateriali , eppur tanto vivi. Ho pensato di chiamarlo "Capanno alla fine del bosco" e lo raccomando a voi perché resti la memoria del suo autore.

Voi, i figli dico, non avete avuto la possibilità (stavo per dire fortuna), di conoscere i vostri nonni, mio padre e quello di Fiorella, i quali con destini diversi sono stati indimenticabili ed insuperati nella memoria di noi figli, ma sono scomparsi quando erano ancora giovani. Entrambi avevano spiccate doti artistiche, oltre che umane.

Con affetto e sentimento
Bruno



10 febbraio 2012

Mà,
è un pezzo che non ci sentiamo.

Ti ricordi di quando parlavamo tu ed io, di te, di me, delle cose del mondo, dei viaggi che avresti desiderato fare e che non hai fatto, delle speranze, dei desideri che sono restati tali, dei sogni che facevi su di noi figli, perfino di argomenti un po' tabù, come la 'vita oltre la vita', quei racconti che si fanno su esperienze vissute da persone dichiarate morte e poi tornate in vita, da cui eri curiosamente attratta, e su cui un giorno mi chiedesti un parere ed io cercai di distoglierti da quel pensiero che mi sembrava molesto?

Si avvicina il 26° anniversario della tua scomparsa e il mio ricordo torna ancora a quel pomeriggio in cui ti ho visto andar via con l'ambulanza ed ho capito che non saresti più tornata.

Non voglio parlarti del mio dolore di allora. e di oggi non saprei che dirti. Molte cose sono cambiate e quel che resta è un pacato senso di nostalgia che va oltre il dolore.

Ma voglio invece di nuovo parlare con te da solo a sola, come facevamo quando ero un ragazzo di fronte alle prime difficoltà della vita e cercavo di capire quello che si agitava dentro di me, e tu comprendevi questo mio stato d'animo e cercavi di aiutarmi, mostrandomi ciò che era importante e ciò che lo era meno, invitandomi a guardare oltre le apparenze ed a confidarmi, facendomi capire che per quanto grande potesse essere il mio problema, la tua comprensione lo sarebbe stato di più e la dolcezza delle tue parole mi dava la certezza che i dubbi nei quali mi dibattevo erano poca cosa e si sarebbero risolti facilmente.

Sapevi come prendermi,: "Cos'hai Bruno? sento che c'è qualcosa che non va" dicevi. guardandomi negli occhi. Intuivi le mie preoccupazioni più riposte, e sapevi come vincere le mie resistenze...

E quanti ostacoli che mi sembravano insormontabili, ho superato dopo essermi confidato con te! Tu che in silenzio hai sopportato le mie insoddisfazioni, venendo incontro alle mie tante richieste di allora, quando in piena crisi di crescita, non trovavo il modo di contemperare le forze contrastanti del mio spirito inquieto.

La mia rudezza di figlio, scontroso quanto basta, contro la dolcezza del tuo sorriso di madre, aveva poche possibilità di avere la meglio, e ben volentieri mi lasciavo prendere dalla ragionevolezza delle tue parole e alla fine non potevo che arrendermi, ben lieto di liberarmi da un peso che altrimenti mi avrebbe schiacciato, non perché fosse tanto grande, ma perché non avevo abbastanza fiducia nelle mie forze, ed io uscivo da quelle conversazioni rinnovato dentro di me, di nuovo forte.

Così sono cresciuto all'ombra di questo amore che mi ha protetto per tutta la vita e che in tutti i momenti difficili, di scelte da fare, di decisioni importanti da prendere mi ha ispirato, indicandomi la via da prendere

Vorrei tornare a quei giorni, ma forse no, sarebbe operazione rischiosa. Io non sono più il ragazzo di allora, tu forse non potresti aiutarmi . Il passato è passato e non può tornare, lo sappiamo entrambi..

Il tempo entro il quale noi viviamo è limitato e scorre dal principio alla fine senza interruzioni ed è bene che sia così


Abbiamo vissuto giorni, belli ed irripetibili, in cui abbiamo avuto la fortuna di stare insieme ed in cui abbiamo parlato e ci siamo detti tante cose, talvolta anche senza bisogno di parole, solo con lo sguardo. Tante altre avremmo potuto dircene che sono rimaste sospese. Ma il discorso che è intercorso fra noi è ancora aperto. Questa lettera ne è la continuazione. Ma come al solito dice solo una parte di quello che avrei voluto.

Con affetto, tuo figlio
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