LA DISCENDENZA 21

L’Italia era uscita dal conflitto mondiale come Nazione sconfitta. Alla Conferenza di Pace di Parigi del 1946 non le fu riconosciuta la qualità di Nazione alleata dei Pesi vincitori, ma solo quella di cobelligerante e le furono imposte dure condizioni; La rideterminazione dei confini con la Francia e con la Jugoslavia e la perdita di tutte le Colonie, sia quelle acquisite durante il Fascismo, che quelle possedute già da prima e anche dal punto di vista economico dovette sopportare delle sanzioni. Il Mondo dopo la Conferenza di Pace si divise in due blocchi; la Germania fu divisa in due Stati, la Germania Ovest che faceva parte del mondo occidentale e la Germani dell’Est, annessa al blocco sovietico. Il confine tra i due Stati passava anche per Berlino, che era materialmente attraversata da un muro di separazione, sotto il controllo delle due parti ed era vietata la libera circolazione da una parte all’altra. Tra i due blocchi, costituiti, il primo, dai Paesi adenti alla Nato, che era un patto di alleanza tra gli Stati che facevano capo all’America ed il secondo da quelli aderenti al Patto di Varsavia, che facevano parte dell’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche), iniziò un lungo periodo di Guerra Fredda.



All’interno degli stati occidentali aderenti alla Nato, con Parlamenti e Governi democratici, ben presto si pose il problema dell’esistenza di forti partiti di sinistra all’opposizione, che si rifacevano al sistema economico socialista e si temeva che un’eventuale vittoria elettorale da parte di essi, potesse portare i Paesi interessati ad un cambiamento di alleanza internazionale. La guerra aveva lasciato l’Italia in condizioni di grande difficoltà, un cumulo di macerie materiali e spirituali difficile da rimuovere. Era necessario rifondare le istituzioni dello stato, stravolte da venti anni di dittatura fascista e cinque di guerra rovinosa. Bisognava far rinascere lo spirito democratico, cancellando ogni traccia di fascismo anche nella mentalità della gente. Quest’ultima è stata la cosa più difficile da realizzare e penso che non sia ancora del tutto avvenuta. I nostri connazionali all’estero, andati via dall’Italia quando c’era il fascismo, avevano conservato, anche senza saperlo, idee fasciste. Molti di essi, tornati in Italia dopo l’instaurazione della democrazia, hanno fatto fatica a riconoscerla, ripiangendo quella che avevano lasciato a suo tempo.

Il 2 giugno 1946 ci fu il Referendum Istituzionale con il quale il popolo italiano (per la prima volta furono ammesse al voto anche le donne), fu chiamato a scegliere tra la conservazione della Monarchia e l’instaurazione di una Repubblica. L’esito della votazione, contestato dalla parte perdente fu, a favore dell’abolizione della Monarchia e la creazione della Repubblica. L’ex re, Umberto 1°, insieme a tutta la famiglia reale andò in esilio in Spagna. Il 1° gennaio 1948 fu promulgata la Carta Costituzionale della Repubblica Italiana e nello stesso anno furono indette le prime elezioni politiche che si svolsero il 18 aprile, con una forte carica emotiva e grande partecipazione. Era in gioco una posta molto importante, l’assetto da dare al nostro Paese e le forze si divisero in due schieramenti, uno conservatore e centrista, formato dalla DC e dal PSDI, ed uno riformista formato dal Fronte Popolare del PCI e del PSI. La campagna elettorale si svolse non senza note di colore e fu una lotta senza quartiere. La Chiesa vi prese parte invitando i fedeli a votare DC. L’America aveva condizionato la concessione di un forte prestito all’Italia, alla vittoria del gruppo centrista, con la richiesta che dal futuro governo fossero esclusi i comunisti. La vittoria andò alla DC e per la sinistra fu una dura sconfitta.

Quello che segue è un esempio di come venissero seguite le vicende politiche nazionali all’estero, da parte di quegli emigrati nostalgici di cui sopra.

"Zio e cugina, in questo momento critico vi scrivo e vi prego di vero cuore di starvi attendi il giorno 18 aprile di guardare per chi votate se amate Iddio e la nostra fede cristiana votate condro il Comunismo che allora avrete un Governo libero, aldrimenti avrete vostri campi di concentramento e moldi saranno fucilati perché credono in Gesù Cristo nostro Signore fate che mandenete la libertà del nostro bel paese. Salvate la millinaria civiltà di Roma che questa è la libertà di Cristo, e non fatevi straportare mondo pagano".

Manca la data, ma la firma è di quel Simplicio (quanta preveggenza nei genitori che scelsero quel nome!) Di Eugenio, il ragazzo rimasto orfano di madre, accolto in famiglia da Domenico quando suo padre partì per l’America. Era cugino di Raul e delle zie di Fiorella ed in America, sulle orme del padre, aveva fatto una discreta fortuna. Il tono apocalittico dell’appello è sintomatico del modo di vedere dei nostri connazionali, preoccupati di come potessero volgere le sorti del nostro Paese dopo la caduta del Fascismo. Comunque l’appello, per quanto accorato, cadde nel vuoto, perché le zie di Fiorella votarono una per il Partito Comunista e l’altra per quello Socialista, anche se l’esito della votazione fu quello auspicato dal cugino. Simplicio, insieme alla moglie, fece ritorno in Italia in età senile, ma non intrattenne mai rapporti molto stretti con questi suoi parenti, verso i quali sembrava quasi serbare ancora l’ombra del risentimento per i fatti accaduti prima della sua partenza.

Ma per tutto il tempo che era stato in America, Simplicio non si era dimenticato della famiglia che lo aveva ospitato pur tra difficoltà. Ogni tanto, come poteva, inviava piccoli doni e qualche dollaro infilato nella busta delle lettere. A proposito di un paio di scarpe donate a Raul, delle quali insistentemente chiedeva se fossero della misura giusta – evidentemente Raul non era stato prodigo di ringraziamenti - quest’ultimo, seccato, rispose “vanno bene come possono andare bene scarpe di n.43 a chi calza il numero 39”.

***

Nel chiudere il faldone contenente i documenti dai quali ho tratto le storie di cui sopra, due foto che non avevo notato, si sono proposte alla mia attenzione, sfuggendo dai legacci che stavo cercando di annodare, e cadendo a terra dopo un breve volo. Sul retro della prima, raffigurante Raul chino, intento ad osservare il motore di un’auto di grossa cilindrata, c’è scritto: 

"Con l’animo che vince ogni battaglia….Sfido la morte e la vita perché ti amo, Floria mia.
T’amo disperatamente
Raul tuo
Bellante li 19 agosto 1934. 

Sull’altra: 

”Ci spezzeremo, ma non riusciranno a piegarci, perché l’more nostro non teme i continui assalti di quelli che vivono e sono sempre vissuti senza vita.
La morte solo potrà, ma Dio non vuole, impedire ai nostri cuori di palpitare l’uno per l’altro in questa vita misera terrena; ma anche lei riconoscerà incapaci le sue forze eterne ad impedirci di vivere sempre come oggi nella vita e nell’eternità.
Il solo, l’eterno incorruttibile è l’amore [sottolineato, ndr.].
Vivo solo per te, Floria, la….bellezza, la bontà e l’amore tuo infinito. Raul tuo. Da presso te con tutta l‘anima
li 20 agosto 1934."

Il 20 settembre 1956 Raul, di ritorno da Bellante, dove era andato ad intrattenersi con suoi amici, di notte e a bordo del ciclomotore “Cucciolo”, che si era a montato da sé, cadde battendo la testa contro una pietra miliare e morì dopo poco tempo in ospedale. Dalle modalità dell’incidente è possibile arguire che fosse stato investito da un’auto, il cui conducente non si fermò a prestare soccorso.

Noto ora che dal faldone sporge lo spigolo di una piccola foto raffigurante ancora Raul, sorridente come spesso faceva con il suo sguardo simpaticamente distante. Sul retro leggo: 

"Coll’ultimo tuo respiro finì la mia giovinezza, anzi cessando tu di vivere ho cominciato io a morire, Floria".

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