LA DISCENDENZA 20

Da un punto di vista generale, non si può dire che Mussolini, con la sua decisione di entrare in guerra (“E’ giunta l’ora delle decisioni irrevocabili” fu l’annuncio dato per l’entrata in guerra), a fianco della Germania nazista, pur conoscendo lo stato di scarsa preparazione ed insufficiente equipaggiamento delle nostre forze armate, non fosse riuscito a creare nell’animo di molti l’illusione che la guerra fosse giusta e si potesse vincere facilmente, a fianco del potente alleato tedesco, facendo leva soprattutto sul facile entusiasmo degli ingenui e sul sentimento pseudo-patriottico dei facinorosi. Lo stesso Raul, che certo non era tra questi, in alcune corrispondenze dei primi tempi della guerra si dichiarava orgoglioso di essere al servizio della Patria, confidando nella saggezza e lungimiranza del suo capo.



Ma dove la propaganda fascista, a sostegno della improvvida decisione, fece breccia maggiore, fu nei confronti di numerosi giovani che partirono volontari per combattere contro i Paesi che la propaganda fascista indicava come appartenenti alle potenze “pluto-giudaiche-massoniche” dell’occidente che strangolavano l’economia mondiale e soprattutto contro gli odiati bolscevichi, dipinti come il male assoluto. E molti morirono convinti di sacrificarsi per un ideale giusto.

E’ la storia di uno di loro, Bernardino Casalena, Nardino per gli amici, che si arruolò volontario all’inizio della guerra, e face il corso di allievo aviere presso la scuola avieri di Napoli. La sua determinazione era forte ed agli era ansioso di superare l’esame finale per essere ammesso a far parte del corpo. Anche la madre, Lillina, da bellante, sosteneva questa sua aspirazione e, preoccupata per il grado di preparazione, che riteneva insufficiente, del figlio, si rivolse in una lettera al cugino Raul, in servizio a Santa Maria Capua Vetere, pregandolo di fare in modo di mettersi in contatto con lui ed aiutarlo a superare l’esame. “Mi rincrescerebbe” dice simpaticamente al cugino nella lettera datata settembre 1941, “se farebbe un fiasco, Tu che ne dici?”. Nardino era figlio di Bartolino e fratello di Tullio e Bionda Casalena, emigrati, il primo in Venezuela e poi in Germania, gli altri due in Venezuela.

Appartiene al periodo di lavoro svolto in Germania da Bartolino la lettera del 5 maggio 1942, con la quale egli informa Raul del fatto che tornerà a Bellante per un periodo di ferie in una certa data e spera di un incontro a tre: “Vorrei che si operasse un miracolo cioè che tu e Nardino coincideste meco in quel giorno” (è aulico il linguaggio di questo personaggio, un modesto lavoratore che all’estero si è dovuto adattare a molti mestieri), “perché anche quest’ultimo è stato informato”. Non sappiamo se l’incontro ci fu, ma possiamo arguire che la vacanza fu molto breve, se già il 10 maggio dello stesso anno, lo stesso Bartolino scrive a Floria dalla Germania: “Il ciambellotto non è ancora esaurito e mi è rimasto il ricordo dell’ultimo timballo da viaggio”. Con i graditi souvenir gastronomici forniti dalla moglie di suo cugino, egli porta nel cuore la speranza che quella partenza possa essere stata anche l’ultima, in vista di un suo definitivo ritorno in patria.

Intanto Nardino, sempre più infervorato di ardore patriottico, forte del credo fascista che gli è stato inculcato, scrive baldanzosamente dal fronte russo, teatro delle sue azioni di guerra a Maria, Azelia e Floria:

La mitraglia canta e i proiettili ci danzano intorno la danza della morte. Ma con me non attacca. Ci possono sparare quanto vogliono ma il sottoscritto torna sempre alla base

e poco dopo, con finto senso di commiserazione,

Poveri russi, come cadono facile quando le mie mitragliere cantano su di loro!”.

E’ il 3 gennaio del 1943. A fronte di tanta baldanza, il padre nutre invece un triste presentimento. IL 25 dello stesso mese scrive al cugino “Sono proprio convinto che egli (il figlio) non è nato in una di quelle notti stellate e che in mezzo a tante di esse ce n’era una buona”. Dopo pochi giorni Nardino torna da una missione gravemente ferito da un proiettile alla gola e viene ricoverato in ospedale dal quale scrive al Segretario del Fascio di Bellante (!) inneggiando all’immancabile vittoria. Non ha perso lo spirito, né le motivazioni per cui è giunto a quel punto. Il 30 gennaio la terribile notizia:

Quei dannati bolscevichi hanno ucciso il mio Nardino
Non potrò vendicarmi
Spero molto nei suoi compagni
Tutto è finito
”.

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