LA DISCENDENZA 19

Dei venti anni di vita da sposato – tanto fu breve il sogno d’amore di Raul e Floria – ben tre furono portati via dalla guerra. La data del matrimonio non risulta da alcuna parte, ma nel 1934 egli scriveva lettere ardenti alla “signorina Floria” che nel 1935 era già con lui nella residenza di Rosello e nel febbraio 1936 nasceva la prima figlia, ma la coppia si era già trasferita a Mosciano S.A., dove Raul era stato trasferito per l’anno scolastico 35/36. E’ quindi lecito pensare che il matrimonio segreto abbia avuto luogo tra ottobre ’34 e giugno ’35. Il 25 aprile 1938 nacque Fiorella e la nonna Crocetta era già morta senza riappacificarsi con il figlio.



Nel 1940 l’Italia entrò in guerra contro l’Inghilterra e la Francia, a fianco della Germania nazista ed Eliseo, che nel 1935 era stato riformato perché “di bassa statura”, fu richiamato alle armi, arruolato come geniere ed assegnato al Comando di Santa Maria Capua Vetere, dove rimarrà fino alla data dell’armistizio (8 settembre 1943). In una lettera dattiloscritta, proveniente da Città Sant’Angelo, datata 27.01.1956 (a settembre dello stesso anno Eliseo morirà a seguito di un incidente stradale), intestata “Trotta Orologeria”, il titolare, Carlo ricorda, con tono particolarmente affettuoso, un incontro del tutto casuale avuto nel 1942 alla stazione di Pescara, con il suo caro amico Eliseo in divisa da militare, là di passaggio, intravisto e subito scomparso perché salito su un treno in partenza, molto probabilmente di ritorno da un congedo alla sua base militare.

Leggere la corrispondenza dell’epoca, che Raul intratteneva regolarmente con la famiglia, dalla sua postazione di guerra in Campania, è come vivere la storia in diretta. Da un piccolo osservatorio egli aveva, diciamo così, il privilegio di incrociare le sue vicende personali con uno dei più tormentosi crocevia della seconda guerra mondiale. Santa Maria Capua Vetere era al centro del fronte che avanzava; da un lato la linea di fuoco anglo-americana che avanzava da sud verso nord alla conquista palmo a palmo del nostro territorio e dall’altro l’esercito tedesco che resisteva e tentava di ritardare l’avanzata degli alleati arretrando lentamente e facendo terra bruciata dietro di sé; in mezzo l’esercito italiano che non c’era più, si era liquefatto dopo la dichiarazione di armistizio fatta dal Re con le forze anglo-americane ed accettata fin dal 3 settembre, ma portata a conoscenza degli italiani, a causa di traccheggiamenti tra il Re stesso e Badoglio, capo del governo, soltanto la sera dell’8 settembre, quando la notizia era stata già diffusa dalla radio americana.

La reazione tedesca fu l’immediata occupazione della parte di territorio non ancora non ancora in mano agli alleati, in pratica tutto il centro nord. Il Re, Badoglio e gli alti comandi militari fuggirono da Roma, per raggiungere Brindisi via mare, nella parte d’Italia già liberata. Il Re partì in incognito, di notte per Pescara, passò la notte nel castello di Crecchio ed il giorno dopo si imbarcò dal porto di Ortona e raggiunse la sua destinazione, dove riunì il Governo dell’Italia del Sud. L’esercito, senza guida, senza istruzioni, lasciato a se stesso, si sbandò; una parte rimase fedele al Re e subì, laddove c’era l’occupazione tedesca, tremende rappresaglie (a Cafalonia l’intera guarnigione fu trucidata), settecentomila soldati furono fatti prigionieri ed internati in lager in Germania; un’altra parte si organizzò autonomamente nella rime formazioni partigiane, come la celebre Brigata Maiella; un’ultima, a nord, rimase fedele all’ex alleato tedesco, combattendo contro gli altri italiani e dando origine ad una spietata guerra civile.

Ed ecco come il nostro cronista nel teatro di combattimento di Santa Maria Capua Vetere, in una corrispondenza del 20 agosto 1943, vede approssimarsi la catastrofe: “Nel volto di ogni soldato vedi la pietà di tutte le madri, di tutte le spose, di tutti i bimbi…Da oggi nei vicini orizzonti c’è una farandola (…) e fuochi d’artificio, bagliori di morte, luminarie di raggi e di fari, scintillii improvvisi di proiettili traccianti che segnano il cielo di linee luminose variamente colorate, scoppi e rimbombi, bagliori che s’alzano da terra (…) macerie che prendono il posto di case, cadaveri che prendono il posto di esseri viventi, sangue (…)”. Sembra la fine di tutto ed il cuore cede ad un momento di sconforto, si perde nel “piangi piangi pure quando la pena t’affoga la gola e t’opprime il petto (…) e voi perciò”, rivolto ai familiari, “siate preparati, perché non potete mai pensare ‘in quale ora venga il figlio dell’uomo’ “.

Il giorno dopo, 27 agosto, “Ti chieggo perdono delle piccole e grandi cattiverie e delle cose che sembrano o ti sono sembrate tali durante i giorni di vita vissuta insieme”; infine (ore 20 e 30 del 30 agosto) il puro e semplice abbandono: “Ti abbraccio ora unitamente alle nostre bimbe ed esprimo il desiderio dell’ultimo affettuoso bacio a tutt’e tre”. L’annotazione dell’ora è importante, perché è indice del timore fondato che da un momento all’altro possa accadere l’irreparabile e ricorrerà spesso nelle lettere lunghe, appassionate, scritte a più riprese, come si poteva, appena si trovava un momento, in una situazione in continuo movimento, quasi a soddisfare a priori, il legittimo desiderio del caro che le leggerà, di conoscere fin nei suoi minimi particolari, quelli che con ogni probabilità saranno stati gli ultimi momenti prima dell‘evento finale.

La più importante porta la data dell’11 settembre ed è una testimonianza di prima mano di quell’evento tragico che visse l’Italia, alla vigilia, durante e dopo l’annuncio della resa, dato con la diramazione via radio il giorno 8 settembre di un comunicato del maresciallo Badoglio, comandante in capo delle forze armate italiane, con il quale si dava notizia dell’avvenuto armistizio con il quale si poneva termine ad ogni ostilità delle forze armate anglo-americane e si dichiarava cessata l’alleanza con la Germania, nei confronti della quale non si annunciavano azioni di guerra, ma solo di resistenza ad eventuali attacchi che fossero pervenuti da quella parte. E’ il momento di maggiore smarrimento, tutto ormai sembra perso, non è più solo in ballo la propria salvezza, tutto può accadere, anche i familiari rimasti a casa, nella parte d’Italia esposta alle rappresaglie tedesche, ormai sono esposti a pericoli gravi. Una donna sola, con due figlie, cosa le potrà mai accadere?

In questo frangente, il soldato Raul (quasi un “Rayan”), abbandonato a se stesso, solo in una caserma vuota, chi mai andrà a salvarlo? I suoi commilitoni sono tutti fuggiti, gli ufficiali per primi, niente più ordini o disposizioni, il Comando non esiste più, l’unica voce che si sente è “tutti a casa!”, sì, ma come? Per prima cosa bisogna sbarazzarsi della divisa militare e procurarsi abiti civili. A santa Maria Capua Vetere, e lungo una linea trasversale che attraversa l‘Italia da una parte all’altra, corre la linea del fronte. Per i soldati sbandati, non ci sarebbe scampo. Si combatte dappertutto; se tentasse una sortita, potrebbe essere catturato sia dagli americani che dai tedeschi, per non contare i gruppi residui dell’esercito italiano in cerca di una propria collocazione nella lotta. L’unica è eclissarsi, tentare di scomparire.

“Mia carissima Floria, sfortunata compagna mia” inizia la lettera dell’11, “che venissero giorni nero come quelli che comincerò a vivere da domattina, proprio non ci avrei creduto! Però ho tanta forza e tanto coraggio” è un patetico tentativo di infondere coraggio alla destinataria della lettera, “Fino a qualche ora fa in caserma c’erano soldati tutti affaccendati, frettolosi, una fretta pazza di scappare fuori sotto i moti (?) dati ad ognuno da un panico pazzesco, ma non inspiegabile. Ora la caserma è quasi vuota ed è notte alta. I tedeschi non sono a accampati in città, ma hanno avuto tagliate le comunicazioni al Volturno ed attendono lì il loro nemico con decisione tale da far temere per questa povera cittadina. Qui non vogliono che ci siano più soldati italiani ed hanno fatto disciogliere molti reparti, i quali, a parte il fatto che non era stato ordine di resistenza, non lo avrebbero neanche potuto perché le armi han sempre avuto quelle a mala pena sufficienti per poter soddisfare ai servizi di guardia e di pattuglia. E per queste armi i tedeschi ci tengono e disarmano perciò i soldati di ogni arma e pare intendano catturare quali ostaggi gli ufficiali superiori. I soldati li lasciano liberi imponendo loro di andarsene a casa. Però, causa l’interruzione delle comunicazioni con gli organi superiori, non avendo i comandi periferici avuto ordini, i comandanti non sanno quale via prendere e le caserme si vuotano dei soldati, che, se son delle vicinanze, avranno purtroppo la sola fortuna di vedere la guerra da casa loro.

E’ per questa ragione che io sono qui e non sono fuggito come gli altri ed attendo gli eventi d domani nella speranza di trovare in caserma ancora da mangiare almeno per la giornata. Ci avessero i nostri capi dato ordine di potere almeno raggiungere le nostre famiglie, avrei affrontato a piedi il…breve tratto di strada tra i monti, ma cosi…non essendo né pesce né carne ed essendo l’autorità militare italiana sempre viva non potrei da me deliberare l’avventura della passeggiata senza (incorrere?) nei tedeschi o in qualche azione di guerra delle truppe nemiche combattenti, o sotto il fuoco di qualche bombardamento aereo. In caso fortunato verrei catturato dai CC.RR. o da pattuglie di reparti militari ancora in funzione. Ammesso che io potessi sorpassare posti ove ci sono concentrati i tedeschi, ove voi che vi possa giungere con i pochi denari e con le contingenze attuali? Sì, la carità dei contadini…ma per i monti di contadini non ce ne sono e chi sa quanti mai sono nella dura condizione di chiedere pane e ospitalità…E le piogge? Potei tentare in compagnia dei quattro amici parmigiani di raggiungere a tappe faticose fino al lontano Rosello tra i monti, ma lì mi darebbero ospitalità, ci potrei mi giungere? Una decisione sola c’è da prendere: rimanere qui, fuori della caserma e procurarsi qualche capo di vestiario borghese…la casa c’è è quella vuota di Mino Cavatorta e là forse rimarrò insieme agli altri in attesa che la zona venga occupata dagli angloamericani, dopo di che attenderò l’eventuale sistemazione come soldato o come cittadino e potrei così dare notizie più consolanti. Il centro della città non potrà essere campo di resistenza, perché le linee di questa sono un po’ lontane e stando sotto i rifugi durante gli allarmi si potrà rimanere sino a che la ventata furiosa sia passata. E che Dio, il quale finora non ha mancato di proteggermi, mi aiuti veramente…(omissis) e poi ora i campi sono pieni di fichi e di uva e così in queste condizioni si starà per pochi giorni, spero, poiché questa resistenza tedesca tenderebbe solo a proteggere la mia ritirata…”.

Specie nei punti in cui il discorso si fa distorto ed affannoso, si legge lo stato di ansia e di confusione in cui si trova il povero Raul, il quale non sa quale decisione prendere. La lettera si chiude con baci ed abbracci alla moglie e alle figlie, con la speranza, ormai veramente ultima dea, che non siano gli ultimi. Ma, alla fine la decisione è presa: si parte. Con mezzi di fortuna egli risale l’Italia, affronta pericoli, difficoltà, disagi, di cui narrerà a voce, quando finalmente il giorno 20 di settembre, farà la sua comparsa sulla piazza di Bellante reduce di guerra, salutato come un eroe dai primi conoscenti che incontra e subito dopo, seguito da una piccola folla festante, busserà alla porta della propria casa e riabbraccerà la moglie in lacrime e le figlie sopraffatte dalla gioia.

Dal Foglio Matricolare rilasciato dal Distretto Militare di Teramo risulta che il Caporal Maggiore Di Eugenio Eliseo, richiamato alle armi in data 15.04.1940, “sbandatosi in seguito agli eventi sopravvenuti all’armistizio, era considerato in servizio per il periodo dal 9.09.1943 al 13.06.1944 ed aveva goduto di una licenza straordinaria senza assegni in attesa di disposizioni ed era stato collocato in congedo illimitato dal 12.07.1944”.

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