LA DISCENDENZA 18

Le ambizioni sono un altro motivo di dissenso e dissapori, quando in famiglia qualcuno faccia una scelta non all’altezza del proprio rango, per quanto riguarda le amicizie e soprattutto i propositi matrimoniali. Specie se a tradirle sia un figlio o una figlia che con sacrificio la famiglia ha portato su di un gradino nella scala sociale. Che è proprio il caso di Eliseo/Raul, il prescelto, il figlio di un calzolaio che diviene maestro ed alimenta, nei suoi, sogni di grandezza. Iniziata la scalata, perché non tendere più in alto? Un buon matrimonio è quello che ci vuole per sollevarsi del tutto dallo stato primigenio. Non una scelta avventata, la solita infatuazione, non lasciare che i sentimenti offuschino la ragione. Amore contro interessi. Amore da parte dei giovani, puro, limpido, passionale; calcolo da parte dei meno giovani, che hanno perduto le illusioni dell’età d’oro e pensano di saperla lunga e perciò si ritengono in diritto e in dovere di “aprire gli occhi” a chi li ha offuscati. “Bada che ne va della tua vita. Il letto come te lo fai, così ci dormi per tutto il tempo”. La saggezza dei cinici freddi, contro la fiamma dell’ardore.



A soffrirne non era solo Raul, ormai in rotta con i suoi, ma la stessa Floria che, al culmine della parabola, si chiede: ”Ma cosa abbiamo fatto di male, per meritarci questo? E tu Dio che dall’alto ci guardi, perché permetti che ciò accada?”. L’ambizione non è solo dalla parte dei genitori di Raul, anche Giulietta non è contenta: Floria è bella, poteva ambire a qualcosa di meglio di un semplice maestro; inoltre è giovane, potrebbe aspettare un’occasione più favorevole. Perché affogarsi in un’avventura senza prospettive di un vero cambiamento?

Gli anni 1932-34 sono decisivi; i due fidanzati non riescono quasi a vedersi e allora si scrivono: “T’amo, t’amo, t’amo, più della vita e fino alla morte” sono parole che a sentirle oggi fanno venire un brivido, per la cecità del caso, la crudeltà delle persone, lo struggimento dei due, l’audacia e la fatale disgrazia. Floria riceveva queste lettere ed annotava su un taccuino di una ditta farmaceutica, frasi dello stesso tenore, con pari esasperazione. Questo taccuino sarà trovato poco più di venti anni dopo nella tasca della giacca di Raul alla sua morte, di cui dirò in seguito. Floria, nel vederlo, ha scritto sulla sua copertina l’amara constatazione “Lo ha portato con sé per tutta la vita”. Le parole sono mischiate alle lacrime.

Ora le immagini possono scorrere come in un replay cinematografico, con una patina da foto ingiallita a ripercorrere le ansie e le attese di quel tempo. Un grande amore presuppone anche momenti di caduta: “T’odio, t’odio” è la risposta di lei alle pressanti richieste di lui. Non si conosce il motivo di tanto sdegno, ma la lettera che Raul indirizzò ai suoi, in difesa della onorabilità della sua amata, chiarisce molte cose: “e poi mi si dica un po’ l’origine e la provenienza di tutto un mondo di male predicato contro la povera Floria. Chi è che può menomamente rimproverarle qualche cosa? Tu forse Maria o tu Azelia, o tu mamma? Che vi ha fatto Floria? Sentite; e tu più di tutti ché hai più cuore per tuo figlio, babbo, senti, sono nato sotto una non buona stella. Ma adesso voglio essere padrone del mio destino….in questo sentimento di affetto voglio e posso essere padrone assoluto e voi se non volete persuadervene, siete cattivi, però non potrò cessare di sentirmi legato a voi…Questa lettera va aperta questa sera quando mancherà probabilmente l’occasione di dare materia di conversazione alle pettegole, di cui è, è stata e sarà ripiena la nostra casa”.

Il matrimonio segreto si svolse sotto la protezione di amici che presero a cuore la sorte dei due innamorati e i buoni uffici di un parroco consenziente e dovette essere un atto di grande coraggio, da parte dell’uno e dell’altra, ma il fascino della cornice romantica di una chiesetta di campagna, il grande momento dei “sì” pronunciati con emozione da bocche che non volevano sapere se non di baci, dovette svolgersi per forza sotto il segno della tristezza per quello che ognuno di essi si lasciava dietro in previsione di conseguenze dolorose.

La più ostinata sul fronte dell’incomprensione, fu inspiegabilmente la madre di Raul, Crocetta, chiusa in una sorda ostilità verso la nuora che le aveva portato via il figlio. Nel 1936, nacque la prima figlia, Ninfa e Raul, sapendo che sua madre era gravemente malata, affrontò un pericoloso viaggio in bicicletta, da Mosciano S.A. dove insegnava e risiedeva con la sua nuova famiglia, a Bellante, a casa di sua madre, portando la figlia con sé, dentro un cestino legato al telaio della bici, affinché la nonna potesse conoscerla. Alla presenza del figlio che le mostrava la nipotina, ella, in un supremo atto di ripulsa, chiuse gli occhi per non vederla, infliggendo a lui la più amara delusione. Morì poco tempo dopo senza ravvedersi.

Per fortuna le cose andarono diversamente con gli altri familiari, i quali, specie dopo la nascita della seconda figlia Fiorella, mutarono il loro atteggiamento fino a una sorta di normalizzazione dei rapporti reciproci, che comprendeva, per quanto riguardava le zie, un grande affetto nei confronti delle nipoti e di Lucio che nascerà dopo, ed un leggero ritegno che non sarà mai annullato nei confronti della cognata.

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