I MIEI FIGLI 2

E’ stata forse l’ultima stagione, quella da me vissuta, prima dell’inversione di tendenza che si è verificata nella nostra società per quanto riguarda l’incremento demografico che ha portato ad una progressiva diminuzione di nascite in Italia, rispetto al periodo precedente, in cui avere una famiglia con parecchi figli era considerata la norma. Si era intorno agli anni cinquanta-sessanta del secolo scorso. Mia sorella Rita, che mi precedeva in tutto, nell’età, come nel profitto scolastico, sposata in età giovanile, aveva messo al mondo quattro figli, di cui, in qualità di zio, andavo orgoglioso, perché, la nostra famiglia di origine era ben numerosa (cinque figli) ed io non riuscivo a concepirne una che non ne avesse almeno quattro. Scambiai il mio ruolo di zio giovane con quello di “zio saggio”, come mi chiamavano Anna e Gianni, a conferma della giovane età che mi faceva molto aperto alle novità, prodigandomi come potevo nel fornir loro ogni sorta di appoggio nella lotta per le conquiste della vita, che andavano di solito a detrimento dell’autorità genitoriale. Quando nacque Anna, avevo diciotto anni, quindi quando nacque Pino, l’ultimo, circa otto anni dopo, io ne avevo pressappoco venticinque-ventisei; quando Anna raggiunse la maggiore età, ero ancora nel fior degli anni, sposato anch’io da qualche tempo, e, forte dell’esempio di mia sorella, insieme a mia moglie, la mia adorata Fiorella, avevo già messo al mondo i miei quattro gioielli, per cui per un periodo abbastanza lungo, mi trovai immerso in una famiglia che, allargata anche ai figli delle mie sorelle e di mio fratello, costituiva un mondo fatto di infanti e giovani di tutte le età, verso i quali credo di aver esercitato una certa influenza. Ricordo che in una occasione, si era sotto le feste di Natale, accompagnai al cinema, a vedere l’ultimo film di Walt Disney, ben otto bambini, tra figli e nipoti. La maschera, all’ingresso in sala, mentre ci guidava verso una fila di poltroncine vuote, che ci contenesse tutti insieme, mi disse: “Ma cos’è, un collegio?”.

Foto di famiglia (epoca e fotogr. scon.)

Poco alla volta mi resi conto che ad avere quattro figli eravamo in pochi; le coppie più giovani al massimo ne avevano due o tre e basta. Io però portavo la mia bandiera a testa alta, avendo davanti a me, un esempio preclaro: Enrico Berlinguer, che allora attraversava il suo periodo di maggiore popolarità in Italia, aveva quattro figli e pertanto mi sentivo con tutte le carte in regola rispetto ad un modello di società che non contrastava con l’adesione ad una certa ideologia politica. Per quanto riguarda quest’ultima, a riprova del mio fedele allineamento, basti dire che ad un certo momento, smisi di andare dal mio solito parrucchiere, un po’ snob, che in quel momento andava per la maggiore a Teramo, sotto il nome d’arte di “Francois”, perché ad un tratto mi apparve troppo “borghese”, e prestava i suoi servizi in città ad una fascia di clienti medio alta, alla quale sentivo di non appartenere e cominciai a frequentarne uno più “proletario” che mi tagliava i capelli in maniera piuttosto severa, ma che a me faceva tanto “Berlinguer” con il suo eterno ciuffo di capelli ritti sulla testa. Altro che Compromesso Storico di là da venire!

Dunque, quattro figli. A senso unico alternato: maschio, femmina, maschio, femmina. Non che noi li avessimo programmati, ma fummo ben lieti di accoglierli, man mano che arrivavano. Giuseppe Simone, classe 1966, (un compromesso sul nome, per non deludere la nonna che avrebbe voluto solo Giuseppe, il nome di mio padre); Valentina, classe 1968, (quando nacque, si era verificato da poco un evento memorabile sulla via della parità uomo-donna, la russa Valentina Tereshkova era stata la prima donna che aveva esplorato lo spazio a bordo di una navicella spaziale); Stefano, (alias, Federico, Yuri, Gabelin, detto “’Taccabanda”), classe 1970, Federica, classe 1971 (last, but not least).

Essi crescevano ed in me aumentava il senso di responsabilità che avevo verso di loro, al punto che io tenevo più al loro giudizio che a quello del mondo esterno. Il mio carattere mi ha portato nella vita a stare sempre dalla parte dei perdenti, degli eterni insoddisfatti. Ma con tutto l’orgoglio del mio status di diseredato che occupa un posto modesto, ma non degli ultimi, che però si è conquistato da solo, con le sue sole qualità, senza l’aiuto o la spinta di nessuno. Al contrario di tanti altri. La mia contrarietà al sistema ha fatto sì che io, nel lavoro burocratico che ero chiamato a svolgere, rimanessi sempre ai margini, in posizione di conflittualità con colleghi e superiori integrati in esso con l’opacità di condotta, che a volte rasentava l’abuso. Nessuno ha potuto mai dire niente sul mio lavoro, che era assiduo, puntuale e coscienzioso, aperto all’ascolto ed al superamento delle varie istanze sociali, nel rispetto della legge e della personalità degli utenti. Cosa che in tempi di favoritismi ed agevolazioni, non era proprio il massimo. Un giorno, trovandomi a parlare con un alto funzionario dell’ufficio dove lavoravo, questi mi chiedeva del perché di certi miei atteggiamenti, non troppo elastici, che non mi aiutavano caso mai avessi avuto volontà di farmi strada nella carriera. Risposi che avevo quattro figli. Egli mi disse che proprio questo mi doveva spingere ad agire in modo da poter ottenere di più dal mio lavoro, facendo leva sull’ambizione che avrebbe dovuto portarmi a superare certe inibizioni. “Ma io ho quatto figli” ripetetti. “E che vuol dire?” mi chiese il funzionario. “Che quando torno a casa, la sera, debbo poter avere la testa alta davanti ai miei figli. Il loro giudizio sulla mia persona, vale molto di più di qualche avanzamento di carriera”. E così mi giocai la promozione.

Ma ora basta. Prometto che la prossima volta parlerò dei miei figli.

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