LA DISCENDENZA 5

Delle sei sorelle Bernardi, si può dire che soltanto la prima, Elvira, fece un matrimonio infelice; Giosafatte Pupo di Barletta, il marito, un uomo più giovane di lei, che a detta di zia Gina era un gran giovialone, simpatico e farfallone, dopo qualche tempo, deluso forse da un matrimonio che si rivelò sterile, ad un certo punto abbandonò la sua sposa e se ne tornò nella sua città dove si unì con un’altra donna che gli dette parecchi figli. A quel tempo non c’era ancora il divorzio e per la povera Elvira fu una tragedia. Delle altre, per fortuna si hanno solo buoni ricordi.

Città Sant'Angelo (Vittorio Aielli, 2010)

Ilda, la secondogenita, insegnante elementare, dalla penna molto forbita, sposò un suo collega maestro, Vincenzo Pilotti, con l’hobby della compravendita di case e terreni, dal quale ebbe tre figli, Giuseppina (Pina), Mario ed Edda, cugini ai quali noi della famiglia Aielli, per un certo periodo di tempo, siamo stati molto legati. Altrove ho già riferito di alcune vacanze al mare trascorse insieme a loro nella stessa casa presa in affitto e di alcuni momenti particolarmente intensi vissuti in simili circostanze.

Zio Vincenzo aveva anche un altro hobby, quello del vino che produceva in proprio con le vigne della sua campagna. Oltre al piacere di produrlo, aveva anche quello di berlo e così capitò che un giorno, rientrando a casa, scambiò la bottiglia del vino con quella di un acido corrosivo e si bruciò la gola in modo irreparabile; sopravvisse (“Ho visto la morte in faccia” ci disse appena gli fu possibile parlare), ma passò la restante parte della sua vita con un grave restringimento dell’esofago che condizionò molto la sua attività ed influì sul suo carattere in senso peggiorativo. Per il resto era un uomo adorabile. Mio fratello ed io avevamo con lui un rapporto privilegiato e spesso abbiamo usufruito della sua ospitalità in un localino che aveva vicino casa adibito a cantina, dove quando ci incontrava ci portava a fare alcuni assaggi delle produzioni migliori. “Questo è un vino che fa resuscitare i morti”, usava dire, offrendoci il bicchiere.

Molti sarebbero gli episodi degni di essere raccontati che riguardano le vicende di questa famiglia e dello zio in particolare. Per il momento cito solo l’ultimo e non è allegro. Mi recai a fargli visita un giorno in cui sapevo che era gravemente malato. Lo trovai seduto su una sedia, immobile, lo sguardo fisso. Cercai di fargli le feste, gli dissi parole di incoraggiamento, feci di tutto per rianimarlo. Dopo un poco egli mi guardò, sorrise e con un fil di voce mi disse: "Caro Bruno, bisogna morire". E lo ripetette più volte. Poi mi tese la mano e ci lasciammo. Morì pochi giorni dopo.

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