LA DISCENDENZA 4
Se il discorso intorno al lato paterno della mia discendenza si è esaurito abbastanza presto, non per mancanza di figure di rilievo, ma per l’insufficienza di informazioni, in quanto a Città Sant’Angelo non è rimasto nulla degli Aielli dopo la morte della nonna, della zia Gaetana e di zio Luigi, per quanto riguarda il ramo materno, il racconto si fa molto più articolato; anche qui, però, non perché vi siano più documenti e figure ragguardevoli, ma semplicemente in quanto la famiglia di mia madre era ben più numerosa ed il mio ricordo più vivo, non solo per la vicinanza, ma proprio per il senso di unità che in quel nucleo è rimasto vigente anche dopo che i vari componenti avevano preso strade diverse, ognuno per conto suo con la propria famiglia, per cui il vincolo di parentela è rimasto sempre molto sentito, almeno fino alla seconda e terza generazione.
Della nonna Elisabetta ho già detto e della zia Annina, la sorella del nonno, posso aggiungere che era una donnina silenziosa e chiusa in sé, di una fedeltà assoluta alla famiglia che è vissuta là per tanti anni, che ha svolto un’attività di grande utilità per la nonna ed anche per le sei nipoti femmine e due maschi, solo dedita all’assolvimento dei suoi compiti, senza alcuna pretesa, non l’ho mai sentita lamentarsi per qualcosa. Per noi pronipoti aveva rispetto e condiscendenza, ma quasi non ci conosceva, non abbiamo mai parlato di nulla.
Tutto il potere di concentrazione della famiglia era rappresentato dal palazzotto di Corso De Michetti, sul quale imperavano, spesso con visioni divergenti, la nonna e il primo figlio maschio, Anzino, il quale, dopo la morte del padre era stato costretto a lasciare gli studi per un impiego alle Regie Poste ed aveva fatto le veci del padre nei confronti dei fratelli. Erano due caratteri forti ed autoritari che imponevano la loro volontà nei confronti degli altri componenti della famiglia anche da sposati, sebbene con forti contrasti tra loro due, per l’affermazione della propria supremazia all’interno del gruppo, ma comunque entrambi con i loro sforzi rivolti a mantenere saldi i rapporti tra i vari rami della famiglia originaria. Soprattutto nei confronti delle sei sorelle. Periodicamente uno dei due convocava una riunione presso la casa paterna, alla quale dovevano partecipare tutte le donne, con esclusione dei rispettivi mariti, nella quale venivano discussi problemi di interesse comune ed impartiti gli ordini ai quali attenersi. Questi incontri avvenivano in gran segreto ed era vietato riportare fuori le decisioni assunte. Con smacco ed irritazione dei mariti.
Noi nipoti Aielli, avevamo una fonte di informazione in zia Gina, sorella di nostro padre, confidente di nostra madre, la quale non mancava mai a quegli appuntamenti e tornata a casa, faceva delle confidenze alla cognata, la quale, messa al corrente delle novità, in confidenza ce le faceva trapelare e noi là, a sentire divertiti.
Lo zio Anzino, detto "lo scapolo", viveva in un’atmosfera particolare; l’essere stato cooptato per necessità alla guida della famiglia, aveva condizionato ogni successiva condotta da lui tenuta: dal fatto di non essersi potuto sposare per il motivo di cui sopra, aveva fatto discendere la sua necessità di intrattenere rapporti mercenari con donne senza scrupoli, con la conseguenza di una vita disordinata, durante la quale, peraltro, alcuni “infortuni” avevano comportato la nascita di figli indesiderati. Egli, ben lungi dall’idea di riconoscerli, faceva di tutto per tenersene alla larga, pur contribuendo al loro mantenimento, ricorrendo per i suoi bisogni corporali ai servizi di altre donne. Il che però gli comportava abbastanza discredito nell’ambito della famiglia e non solo. Cosa per cui, alcune volte, le riunioni familiari erano tenute con lo scopo di mettere la sordina a certi pettegolezzi che giravano. Le sorelle, cioè non dovevano solamente ignorarli, ma se capitava, anche attivarsi per far tacere le voci e smentire la fonte dalla quale provenivano. Queste cose procuravano a noi ragazzi una grande ilarità, mentre erano per nostra madre e le sorelle, motivo di grande preoccupazione.
Non bisogna credere che la figura di questo personaggio si esaurisca in particolari così poco edificanti, egli sarebbe stato degno di figurare come protagonista in un qualche romanzo del primo novecento, se solo la sua storia fosse capitata tra le mani di un Antonio Fogazzaro (Piccolo Mondo Moderno), Italo Svevo (Senilità) o Luigi Pirandello (Uno Nessuno, Centomila). O anche di Gabriele D’Annunzio nella sua qualità di romanziere (Il Piacere, L’Innocente).
Zio Anzino era persona scrupolosa sul lavoro; recentemente mio fratello Vittorio ha trovato, tra cianfrusaglie e vecchie lettere manoscritte in una bancarella di cose antiche, un attestato di benemerenza e di ringraziamento per l’opera prestata in ufficio dal Sig. Anzino Bernardi di Teramo, funzionario delle regie Poste Italiane.
Inoltre coltivava un hobby molto particolare, quello dell’avicoltura, per il quale aveva speso denaro, messo a disposizione la sua casa, affittato un orto, che era il suo luogo preferito. A casa sua aveva una stanza dove in grosse gabbie allevava razze esotiche di uccelli rari, mentre nell’orto razzolavano autentici campioni di avicoli da cortile e svolazzavano colombi messaggeri.
Era taciturno, solitario, ma non asociale. Autoritario e severo: con noi nipoti era gentile, ma ci faceva sentire a disagio, con i suoi occhietti un po’ irridenti e la parola tagliente. Penso che tutto sommato sia stato un infelice. Probabilmente la morte prematura del padre, l’onere di contribuire a portare avanti una famiglia con tante sorelle e il fratello, il conflitto con la madre, resero la sua vita un deserto.
Ma non era arido l’animo di quest’uomo pieno di contraddizioni. Un piccolo despota, un signore feudale, un “viveur” molto alla buona, ma aveva sul comodino un libro di preghiere, annotato in più punti, segni di una spiritualità coltivata in segreto, in quanto non mi risulta che frequentasse una chiesa.
Apprezzava il buon cibo ed era stato un esperto assaggiatore di vini. Ma la sua vita si era svolta sempre nell’ombra.
Foto di famiglia |
Della nonna Elisabetta ho già detto e della zia Annina, la sorella del nonno, posso aggiungere che era una donnina silenziosa e chiusa in sé, di una fedeltà assoluta alla famiglia che è vissuta là per tanti anni, che ha svolto un’attività di grande utilità per la nonna ed anche per le sei nipoti femmine e due maschi, solo dedita all’assolvimento dei suoi compiti, senza alcuna pretesa, non l’ho mai sentita lamentarsi per qualcosa. Per noi pronipoti aveva rispetto e condiscendenza, ma quasi non ci conosceva, non abbiamo mai parlato di nulla.
Tutto il potere di concentrazione della famiglia era rappresentato dal palazzotto di Corso De Michetti, sul quale imperavano, spesso con visioni divergenti, la nonna e il primo figlio maschio, Anzino, il quale, dopo la morte del padre era stato costretto a lasciare gli studi per un impiego alle Regie Poste ed aveva fatto le veci del padre nei confronti dei fratelli. Erano due caratteri forti ed autoritari che imponevano la loro volontà nei confronti degli altri componenti della famiglia anche da sposati, sebbene con forti contrasti tra loro due, per l’affermazione della propria supremazia all’interno del gruppo, ma comunque entrambi con i loro sforzi rivolti a mantenere saldi i rapporti tra i vari rami della famiglia originaria. Soprattutto nei confronti delle sei sorelle. Periodicamente uno dei due convocava una riunione presso la casa paterna, alla quale dovevano partecipare tutte le donne, con esclusione dei rispettivi mariti, nella quale venivano discussi problemi di interesse comune ed impartiti gli ordini ai quali attenersi. Questi incontri avvenivano in gran segreto ed era vietato riportare fuori le decisioni assunte. Con smacco ed irritazione dei mariti.
Noi nipoti Aielli, avevamo una fonte di informazione in zia Gina, sorella di nostro padre, confidente di nostra madre, la quale non mancava mai a quegli appuntamenti e tornata a casa, faceva delle confidenze alla cognata, la quale, messa al corrente delle novità, in confidenza ce le faceva trapelare e noi là, a sentire divertiti.
Lo zio Anzino, detto "lo scapolo", viveva in un’atmosfera particolare; l’essere stato cooptato per necessità alla guida della famiglia, aveva condizionato ogni successiva condotta da lui tenuta: dal fatto di non essersi potuto sposare per il motivo di cui sopra, aveva fatto discendere la sua necessità di intrattenere rapporti mercenari con donne senza scrupoli, con la conseguenza di una vita disordinata, durante la quale, peraltro, alcuni “infortuni” avevano comportato la nascita di figli indesiderati. Egli, ben lungi dall’idea di riconoscerli, faceva di tutto per tenersene alla larga, pur contribuendo al loro mantenimento, ricorrendo per i suoi bisogni corporali ai servizi di altre donne. Il che però gli comportava abbastanza discredito nell’ambito della famiglia e non solo. Cosa per cui, alcune volte, le riunioni familiari erano tenute con lo scopo di mettere la sordina a certi pettegolezzi che giravano. Le sorelle, cioè non dovevano solamente ignorarli, ma se capitava, anche attivarsi per far tacere le voci e smentire la fonte dalla quale provenivano. Queste cose procuravano a noi ragazzi una grande ilarità, mentre erano per nostra madre e le sorelle, motivo di grande preoccupazione.
Non bisogna credere che la figura di questo personaggio si esaurisca in particolari così poco edificanti, egli sarebbe stato degno di figurare come protagonista in un qualche romanzo del primo novecento, se solo la sua storia fosse capitata tra le mani di un Antonio Fogazzaro (Piccolo Mondo Moderno), Italo Svevo (Senilità) o Luigi Pirandello (Uno Nessuno, Centomila). O anche di Gabriele D’Annunzio nella sua qualità di romanziere (Il Piacere, L’Innocente).
Zio Anzino era persona scrupolosa sul lavoro; recentemente mio fratello Vittorio ha trovato, tra cianfrusaglie e vecchie lettere manoscritte in una bancarella di cose antiche, un attestato di benemerenza e di ringraziamento per l’opera prestata in ufficio dal Sig. Anzino Bernardi di Teramo, funzionario delle regie Poste Italiane.
Inoltre coltivava un hobby molto particolare, quello dell’avicoltura, per il quale aveva speso denaro, messo a disposizione la sua casa, affittato un orto, che era il suo luogo preferito. A casa sua aveva una stanza dove in grosse gabbie allevava razze esotiche di uccelli rari, mentre nell’orto razzolavano autentici campioni di avicoli da cortile e svolazzavano colombi messaggeri.
Era taciturno, solitario, ma non asociale. Autoritario e severo: con noi nipoti era gentile, ma ci faceva sentire a disagio, con i suoi occhietti un po’ irridenti e la parola tagliente. Penso che tutto sommato sia stato un infelice. Probabilmente la morte prematura del padre, l’onere di contribuire a portare avanti una famiglia con tante sorelle e il fratello, il conflitto con la madre, resero la sua vita un deserto.
Ma non era arido l’animo di quest’uomo pieno di contraddizioni. Un piccolo despota, un signore feudale, un “viveur” molto alla buona, ma aveva sul comodino un libro di preghiere, annotato in più punti, segni di una spiritualità coltivata in segreto, in quanto non mi risulta che frequentasse una chiesa.
Apprezzava il buon cibo ed era stato un esperto assaggiatore di vini. Ma la sua vita si era svolta sempre nell’ombra.
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