IL FUOCO

Gli uomini confinati sulla terra, senza il fuoco morivano. Siamo nel bel mezzo di uno dei miti greci sui quali si fonda la cultura occidentale. Prima ancora della genesi ebraica o comunque da essa indipendente. Allora c’erano gli dei, gli uomini ed i giganti, figure a mezza strada tra gli uni e gli altri. Un gigante, un titano di nome Prometeo, amico degli uomini, rubò agli dei il fuoco e lo regalò agli uomini, facendo arrabbiare Zeus che non gradì questa intrusione e lo punì, incatenandolo ad una roccia nel punto più esposto della montagna e per sovrapprezzo gli mise a fianco un’aquila col compito di divorargli il fegato, il quale per somma disgrazia, divorato di giorno, ricresceva ogni notte. Ed erano nuove beccate.

Ecovillaggio Tempo di Vivere, Fornello (2017)

Prometeo, “colui che pensa prima”, rappresenta la lotta del progresso contro le forze della reazione; dopo lunghi anni di sofferenza, finalmente passò da quelle parti un altro gigante, Eracle e come si sa, tra giganti ci si aiuta; senza preoccuparsi delle eventuali conseguenze, egli spezzò le catene e lo liberò. Segno che il progresso pur se fra tante difficoltà, alla fine trionfa. Quindi possiamo ben sperare. Ma gli uomini cosa fecero di questo regalo di Prometeo? Promossero il fuoco, del quale impararono in fretta a servirsi per molti e svariati usi, a mezzo di comunicazione con il cielo e con gli dei e da allora vari fuochi sacri sono stati accesi in loro onore, con cerimonie religiose e riti divinatori. Falò e pire si accendono ancora oggi per molte circostanze e ricorrenze e, purtroppo anche incendi. Ma il fuoco è diventato il simbolo della casa e della famiglia con il nome derivato di “focolare”, mentre il “focolaio” è il fuoco che arde sotto, che non si spegne, fonte di pericolo (il focolaio dell’infezione) o di speranza (il focolaio della rivolta contro le ingiustizie di questo mondo).

Il fuoco, uno degli elementi primordiali, necessario alla sopravvivenza della specie umana, ha dato luogo ad un altro termine che è l’olocausto, che sarebbe la conseguenza del fuoco, il bruciato. Dal greco “olos” “intero” e “kaustos” “bruciato”, l’olocausto era il sacrificio che gli uomini offrivano agli dei, di solito un animale di preferenza domestico perché più vicino idealmente alla casa e alla famiglia e quindi propizio per un contatto uomo-Dio, che veniva bruciato sull’altare, dapprima per intero, successivamente, con il diffondersi di idee utilitaristiche, più saggiamente, arrostito nelle parti migliori per uso gastronomico e bruciato per le parti immangiabili, in genere pelle e interiora.

Il rito del sacrificio prevede anche l’ecatombe, letteralmente “sacrificio di cento buoi”, che è più nominale che altro. Doveva significare il massimo della devozione ma richiedeva anche larghi mezzi che comunque, anche ad averceli, sembra un’esagerazione dissiparli in modo così improduttivo, cosa per cui non credo sia stato mai fatto. Il nome, però, così roboante, è servito per indicare una strage, questa volta di uomini e quella sì che si è verificata un’infinità di volte. Ma è usato scherzosamente per indicare anche stragi meno cruente, come per esempio quella di un folto numero di studenti bocciati in una tornata di esami. ("quel tal professore che facendo un’ecatombe tra gli alunni della sua classe, non sa che così agendo giudica se stesso").

Tornando alle tragedie vere, la più grande che si ricorda e che per antonomasia porta il nome di Olocausto, è il genocidio attuato dai nazisti nei confronti del popolo ebraico, col quale sull’altare delle follia criminale, furono “fatti passare per il camino” più di sei milioni di persone. Anche qui c’era il fuoco, quello dei forni crematori.

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