CAVALCARE LA TIGRE

Mi addentro in un argomento che può essere facilmente frainteso. “Cavalcare la tigre” è un modo di dire, di origine orientale, cinese; sembra che anche Mao (non Di Maio!) vi abbia fatto ricorso ai tempi della “Grande Marcia”. Il suo significato, un po’ contorto, “in nuce” non è poi tanto difficile da capire: se sei in groppa ad una tigre (ma c’è da chiedersi perché ti sei messo in una così scomoda posizione), sei nella impossibilità di scendere, perché la tigre ti si mangerebbe. Questo anche quando sai che la corsa in groppa alla tigre non finirà bene. Fuor di metafora, se ti metti in una situazione che ti espone a pericoli, una volta dentro, anche se ti accorgi di avere sbagliato sei costretto, contro la tua volontà, ad andare avanti (“non arretreremo di un centimetro”) temendo che comunque finirà male, ma sapendo che a smettere andrebbe anche peggio.


Vigili del fuoco ad una esibizione di aeronautica (Ferrara, 2014)

“Cavalcare la tigre” è il titolo di un libro che è stato un manuale di filosofia pratica, scritto negli anni ’60 del secolo scorso dall’ideologo di destra Jiulius Evola, col quale l’autore si riprometteva di insegnare alle giovani generazioni tecniche di sopravvivenza col fare resistenza all’avanzata nel mondo della modernità, a suo giudizio minata dalla decadenza, facendo ricorso ai valori della tradizione, libro che non per caso oggi torna di moda per come vanno le cose del mondo. L’insegnamento era che bisognava imparare a restare in groppa alla feroce cavalcatura fin quanto possibile.

Al di fuori di ogni ideologia, a me sembra che l’espressione “cavalcare la tigre” sia di grande effetto per descrivere la situazione di chi imprudentemente si è introdotto in un campo, mettiamo la politica, senza cognizione di causa, ma con la mente piena di pregiudizi e l’intento di denunciare alcune storture da correggere, che, usando le parole come clave, acquista del tutto inaspettatamente un consenso così grande da arrivare a conquistare il potere.

A questo punto l’ebrezza del potere ubriaca a tal punto l’incauto arruffapopolo che egli si cala nelle brache di uno statista consumato, si convince di poter fare quello che altri più esperti di lui non hanno fatto e si lancia in una folle avventura, la famosa tigre, dalla quale teme fortemente di non sapere scendere ma è costretto a perseverare nell’errore (“diabolicum!”), fino alle estreme conseguenze di un disastro.

Mala bestia è questa mia
Mal cavallo mi portò:
Sol la Vergine Maria
Sa quand’io ritornerò

è il grido o il pianto del carducciano vecchio re Teodorico che secondo la leggenda fu rapito da un cavallo che impersonava il diavolo e scaraventato nella bocca di un vulcano. Per dirla con un proverbio vecchiotto: “Chi troppo in alto sale, cade sovente precipitevolissimevolmente”.

Quand’anche fossero due gli improvvisati satrapi a contendersi il potere, si potrebbe sempre verificare che, come dicevano i romani, “simul stabunt vel simul cadent”, insieme staranno, oppure insieme cadranno.

E così sia.

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