ACCETTARSI

Sapete che tra l'accettazione di un dono e l'ascia del boscaiolo corre più di un rapporto di senso? L'accetta, come prima arma usata in epoca primordiale, è rimasta per lungo tempo anche arma votiva, amuleto, oggetto di culto, legato all'idea della morte. Serviva ad ornare le tombe degli uomini eccelsi. "Sub ascia dedicatumu" è un'inscrizione ricorrente rinvenuta nei sepolcri, di cui non si conosce l'esatto significato. Gli indiani d'America simbolicamente sotterravano o dissotterravano l'ascia, per indicare la pace o lo stato di guerra.

Ieri notte - 2018

La parola "accettare", viene dal latino "acceptare", una variante di "accipere", composto da "ad", che indica l'intenzione e "cepere", prendere. Nell'accettare un dono, le scuse, una sfida, c'è infatti un'idea di condiscendenza, un'intenzione di consentire che altri faccia qualcosa che può influire sulla nostra sfera d'azione. Nella forma riflessiva il verbo acquista un significato del tutto particolare. Accettarsi come far sì che la nostra personalità emerga e si prenda per quella che è, con pregi e difetti.

Probabilmente da sempre l'uomo si è posto il problema del rapporto con se stesso e poi con gli altri. Dal "gnothi seautnon" dei greci, al latino "nosce te ipsum", fino all'italiano "conosci te stesso", il punto è stato sempre quello, di conoscersi per potersi accettare e poi presentarsi agli altri, mettendoci la faccia, forti della propria autostima. Accettarsi per quello che siamo, belli o brutti , buoni o cattivi, capaci o incapaci. Accettarsi non vuol dire arrendersi di fronte alle nostre deficienze, ma superarle; non è una sconfitta, ma una vittoria, impariamo a volerci bene nonostante i nostri difetti. Perché solo così siamo in grado di reggere l'urto con l'esterno. Consapevoli di noi stessi, nel bene e nel male. Accettarsi per migliorare è un proponimento lodevole, ma non è indispensabile a rendere attiva l'accettazione, che deve procedere per conto suo.

La religione cattolica, per coloro che sono caduti in errore (hanno commesso un peccato), prevede un percorso di redenzione che porta alla cancellazione della colpa e alla piena riammissione nella comunità. In casi come questo, il fedele si può sentire rinnovato, mondato e quindi contento del risultato ottenuto, ma non è questa la vera accettazione di se stessi di cui stiamo parlando.

Accettarsi per sentirsi realizzato, vuol dire prendere su di sé tutte le responsabilità che la vita ci impone, ed essere soddisfatti di quello che siamo, anche nella piena consapevolezza della nostra imperfezione e dei nostri limiti.

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