INSINUANTE

Si insinua chi vuole star vicino all'oggetto del suo interesse, ma non ama essere notato. Striscia come un serpente, nell'ombra e si infila attraverso le pieghe, nei pertugi, silenzioso e subdolo, con fini ben precisi, quasi sempre malevoli. E' sinuoso e si adatta a qualsiasi ambiente.

Diverso è l'infiltrato, che ha alcune caratteristiche di colui che si insinua, come quella di penetrare in una comunità per carpirne i segreti, ma a differenza di quest'ultimo, senza usare sotterfugi, presentandosi semplicemente per quello che non è, a proprio rischio e pericolo, nel caso venga scoperto.
Serpente, Zoo di Roma 2015

Dal comportamento insinuante, serpeggiante dell'individuo, si passa al suo modo di parlare e di rapportarsi con le persone. Un discorso fumoso, ammiccante, è tipico dell'ambiente mafioso, dove ogni parola è studiata a suscitare sospetti e lanciare avvertimenti, minacce larvate per chi non vuole intendere le altre ragioni che sono quelle della cosca. Qui siamo nella palude dell'insinuazione e della mortificazione della vittima. Voce melliflua, tono suadente, effetto mistificante, sono prerogative dell'insinuante.

L'insinuazione offende: "Che vorresti insinuare?" C'è qualcosa di lubrico nell'insinuazione.

Ma parliamo dell'insinuazione come arte sottile di sottendere, di far balenare immagini, di suscitare perplessità, di accendere entusiasmi, di sconvolgere quel che è prestabilito. E' soprattutto malizioso il modo classico di essere insinuante secondo il bon-ton del tollerabile, che può e deve essere accettato e sopportato in determinate situazioni. Nel comportamento come nelle parole; nella espressione del volto, che assume un aspetto di furbizia luciferina, di subdola attesa, come una domanda non fatta, ma sottintesa che richiede una conferma da parte dell'interlocutore. "Hai capito, sì, quello che voglio dire?" perché l'insinuante non parla o agisce in modo aperto, palese, ma procede per allusioni, doppi sensi e guarda in tralice, protendendosi leggermente con il corpo verso il destinatario dell'insinuazione, quasi a voler depositare in lui il senso criptato e covato del discorso, proteggendolo da interferenze altrui, in attesa di riscontro.

Che, se è positivo, scioglie l'ansia dell'attesa , "ci ho colto!" e può manifestarsi con un semplice cenno di assenso, un gesto, uno sguardo, un segnale qualsiasi per dire "Sì ho capito! E sono d'accordo." O altrimenti, se l'insinuazione non è recepita o è respinta, lascia comunque la via per una ritirata strategica, "io non ho detto niente!" che si esprime ritraendosi anche fisicamente dal contatto che precedentemente s'era tentato, con la persona non consenziente, facendo un passo di lato e scostandosi da lui.

Il fare, ho detto è malizioso, ma, secondo me, il fine non sempre è malevolo. Si possono fare anche insinuazioni amichevolmente benevole. "Chissà che non abbia voluto dircelo per non farci morire d'invidia! Quel premio era proprio a misura del nostro festeggiato." A parlare in questo caso è il secondo classificato che si è visto soffiare l'ambito riconoscimento dall'amico concorrente, in occasione della cerimonia di incoronamento.

Ma indubbiamente la forza e l'efficacia dell'insinuazione si misurano sulla capacità dell'agente che con eleganza sappia fare uso dei mezzi della retorica come di lame affilatissime che possono fare molto male anche quando il fine ultimo sia quello di curare chirurgicamente un bubbone. Figuriamoci se invece l'effetto che si cerca è proprio quello di fare male, insinuando cose non vere, o, anche se vere, tirate fuori in luogo e tempi inopportuni.

L'insinuazione è un'arma che se usata per il bene è salutare, se per spargere veleno, è pericolosa, odiosa e spesso controproducente.

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