IPOCONDRIA
L'ipocondria è una forma di nevrosi alquanto perniciosa(1) e consiste nel fatto che un soggetto è affetto da una paura matta per la sua salute, per la cui salvaguardia è disposto a qualsiasi esagerazione, fino diventare ridicolo. Si lava le mani in continuazione, non dà la mano a nessuno, apre le porte con i gomiti, per non toccare la maniglia, rifugge da qualsiasi contatto fisico ed è sempre in cerca del farmaco più adatto alla malattia 'mortale' che lo affligge. In ultima analisi è una specie di depressione, profondo abbattimento, anche se ha per oggetto una monomania.
Non è strano, dunque, che questa parola derivata dal greco con la combinazione di "hipo" sotto e "chondros" sterno, che per gli antichi era il luogo dove si annidava l'afflizione malinconica, di competenza quasi esclusiva dei medici nel significato di cui sopra, abbia nel linguaggio parlato conservato una sua validità, nel senso originario del termine. Non solo, dunque, preoccupazione per la propria salute, cosa che, se non portata alle estreme conseguenze, è tutt'altro che deplorevole(2), ma comprendente una vasta area di valenza in un campo che attiene comunque alla psiche e alle sue manifestazioni; dalla malinconia alla depressione vera e propria, passando per i vari stadi di avanzamento del male che sono, l'indolenza(3), la svogliatezza, la rilassatezza, l'abbandono e l'accidia(4).
Non è un caso che il termine si ritrovi, con minime differenze, in quasi tutti i dialetti regionali, nella forma contratta più comune di, per esempio, "pecundria" (lombardo) e "pucundria" (abruzzese), nel significato specifico di "malinconia", quella forma di abbattimento per cui si rifugge da qualsiasi azione che comporti uno sforzo, non per mancanza di energia fisica, ma spirituale.
La pucundria, o forse meglio la p'cundria (la "u" si sente e non si sente), per noi abruzzesi è molto di più di una passeggera malmostosità(5), ma assume il carattere di un modo di essere, di un atteggiamento spirituale, quasi una filosofia della vita, che non sempre è del tutto negativa, ma spesso piuttosto regressiva, come la tendenza di certi vecchi a diventare sentimentali quando rammentano cose del passato o come la nostalgia vetero-adolescenziale di alcuni soggetti particolari che riscoprono nella vecchiaia l'innocenza dell'infanzia(6). Ci si rifugia nel passato per pensar male del presente.
(1) Da "pernicies", rovina, che contiene il lemma "nex", morte, vuol dire "che porta danno".
(2) Da "de" + "ploverare", piangere, vuol dire "meritevole di biasimo", ma anche di "compianto". Contiene la radice "plu", da cui deriva anche "piovere".
(3) Da "indolens". Privo di dolore. Questa parola si è evoluta dal suo significato originario "senza dolore", a quello più ricco di senso, di "inerte", "pigro", ma anche "apatico" (da "a", senza e "pathos", "dolore" ma anche "emozione" e quindi torna a significare "che non soffre".
(4) Da "a" + "kanoos" , "cura", vuol dire "che non si prende cura di niente", per noia o malanimo.
(5) Dal vernacolo milanese, "che dà poco sugo" o forse meglio, "che dà sugo non buono". Non perché sia cattivo o incapace, ma perché mal predisposto. Non collaborativo.
(6) Con ciò non voglio affermare che questa sia una tendenza di noi abruzzesi, ma semplicemente che a quella locuzione dialettale diamo questo significato.
Leo-fantasma (Napoli 2011) |
Non è strano, dunque, che questa parola derivata dal greco con la combinazione di "hipo" sotto e "chondros" sterno, che per gli antichi era il luogo dove si annidava l'afflizione malinconica, di competenza quasi esclusiva dei medici nel significato di cui sopra, abbia nel linguaggio parlato conservato una sua validità, nel senso originario del termine. Non solo, dunque, preoccupazione per la propria salute, cosa che, se non portata alle estreme conseguenze, è tutt'altro che deplorevole(2), ma comprendente una vasta area di valenza in un campo che attiene comunque alla psiche e alle sue manifestazioni; dalla malinconia alla depressione vera e propria, passando per i vari stadi di avanzamento del male che sono, l'indolenza(3), la svogliatezza, la rilassatezza, l'abbandono e l'accidia(4).
Non è un caso che il termine si ritrovi, con minime differenze, in quasi tutti i dialetti regionali, nella forma contratta più comune di, per esempio, "pecundria" (lombardo) e "pucundria" (abruzzese), nel significato specifico di "malinconia", quella forma di abbattimento per cui si rifugge da qualsiasi azione che comporti uno sforzo, non per mancanza di energia fisica, ma spirituale.
La pucundria, o forse meglio la p'cundria (la "u" si sente e non si sente), per noi abruzzesi è molto di più di una passeggera malmostosità(5), ma assume il carattere di un modo di essere, di un atteggiamento spirituale, quasi una filosofia della vita, che non sempre è del tutto negativa, ma spesso piuttosto regressiva, come la tendenza di certi vecchi a diventare sentimentali quando rammentano cose del passato o come la nostalgia vetero-adolescenziale di alcuni soggetti particolari che riscoprono nella vecchiaia l'innocenza dell'infanzia(6). Ci si rifugia nel passato per pensar male del presente.
(1) Da "pernicies", rovina, che contiene il lemma "nex", morte, vuol dire "che porta danno".
(2) Da "de" + "ploverare", piangere, vuol dire "meritevole di biasimo", ma anche di "compianto". Contiene la radice "plu", da cui deriva anche "piovere".
(3) Da "indolens". Privo di dolore. Questa parola si è evoluta dal suo significato originario "senza dolore", a quello più ricco di senso, di "inerte", "pigro", ma anche "apatico" (da "a", senza e "pathos", "dolore" ma anche "emozione" e quindi torna a significare "che non soffre".
(4) Da "a" + "kanoos" , "cura", vuol dire "che non si prende cura di niente", per noia o malanimo.
(5) Dal vernacolo milanese, "che dà poco sugo" o forse meglio, "che dà sugo non buono". Non perché sia cattivo o incapace, ma perché mal predisposto. Non collaborativo.
(6) Con ciò non voglio affermare che questa sia una tendenza di noi abruzzesi, ma semplicemente che a quella locuzione dialettale diamo questo significato.
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