SUPERBIA

Povero e superbo si diceva un tempo per marcare la differenza tra superbia come atteggiamento rispecchiante uno stato sociale di maggiore elevatezza, che genera un senso di superiorità e la semplice dignità della persona che, indipendentemente dalla sua condizione economica e sociale, va salvaguardata agli occhi degli altri. Infatti la dignità non nasce all'interno del soggetto, come dato a sé, ma è una posizione che si negozia con gli altri e si conquista con l'approvazione del mondo esterno.


Parlando di superbia non si può non partire dalla constatazione che questa connotazione del carattere umano è quanto mai diffusa ed è strettamente collegata alla affermazione dell'identità della persona, una delle radici fondamentali dell'essere uomo, quindi così intesa, del tutto legittima. L'origine della parola, ancora una volta dal latino "superbus", che viene dal collegamento del suffisso "super", sopra ed il lemma "bus", variamente interpretato, ma comunque riconducibile a due significati principali, entrambi illuminanti, per alcuni da intendere come "vita", "forza", per altri, come quello "che sta sopra".

Quindi la superbia, considerata dalla dottrina cristiana come uno dei sette peccati capitali, è l'atteggiamento di superiorità che si mostra di fronte agli altri , che può prendere la forma della forza, della violenza, o della subordinazione degli altri nei propri confronti. Esistono molti sinonimi della superbia, leggermente diversi uno dall'altro a seconda del carattere del superbo che si vuole mettere in evidenza, come il distacco sprezzante o la semplice indifferenza, l'esserci o non esserci il motivo per esserlo.

Prendiamo "alterigia"; in sé esprime una fierezza superiore alla superbia stessa; eppure l'aggettivo "altero", da "alto", radice di "àlere" che vuol dire "nutrire, far crescere", non ha una connotazione del tutto negativa, potendosi ben riferire all'atteggiamento dell'eroe, che si differenzia da tutti, non per arroganza o disprezzo per gli altri, ma per la statura morale che lo contraddistingue.

Mentre altri aggettivi esprimono invece proprio atteggiamenti di superiorità non motivati da effettive capacità, per cui hanno una connotazione assolutamente negativa.

La superbia può diventare in questi casi "spocchia", una supposta esagerata superiorità che sfiora il ridicolo e sembra venire dal basso, oppure una "albagia", parola che può avere un aspetto addirittura poetico, se si accetta l'opinione che alcuni propongono di farla derivare da "alba", a significare "'vento del mattino", brezza, che si alza, soffia per un po' e subito cade. Come certi che presumono molto di sé, smentendosi alla prima occasione.

Molti altri termini arricchiscono la figura alquanto tronfia del superbo che, superata la soglia di quella legittima aspirazione ad affermare il proprio "io", sconfina nel territorio ambiguo delle pretese a vuoto, come ben si vede nel caso della presunzione, atteggiamento arrogante che pretende di avere una conoscenza a priori delle cose, che precorre il dato reale, pre-sumere, assumere come dato di fatto, che è in realtà una non-conoscenza.

Dalla presunzione, poi, derivano altre forme consimili, come la pretenziosità, da pre-tedere, che pretende di sapere, la pretestuosità (da "pre" avanti e "texère", tessere), che caccia pretesti, per non agire correttamente, che sono espressioni che servono ad indicare con varie sfumature, il vaniloquio del saccente (1), individuo che mette bocca dappertutto, in modo invadente ed irritante, esibendo un'erudizione più finta che veritiera.

(1) Da "sapiens", "che sa", dopo che la voce del verbo "sapio" so, nei dialetti meridionali era diventato "saccio", tuttora in uso, donde il dispregiativo "saccente".

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