SCARTOFFIE

Dicesi scartoffia qualsivoglia tipo di incartamento, sia o no tenuto da legacci, male organizzato e peggio tenuto da un impiegato poco zelante ed incapace che del suo disordine ha fatto uno stile di vita. Fogli che escono da una pila scomposta di carte, formatasi per trascuratezza del sullodato, su un tavolo, dove la polvere la fa da sovrana. Raccolte raffazzonate di documenti tenuti alla rinfusa (idem c.s.), su scansie, "etagere", e dimenticatoi vari, dove si consuma il loro destino triste di ingiallire inutilmente.

Scartoffie - 2015

Una volta si diceva anche "cartoffie", ma la "s" iniziale dà una forza inusitata al termine che, derivando da "carta", vuole scherzosamente dileggiare chi della carta si pasce, come un uccello rapace nel suo nido pieno di piume delle ultime prede semidivorate. C'è tutto il senso dell'inutilità, della confusione, dell'affastellamento disordinato degli incartamenti burocratici, dove solo un Azzaccagarbugli o un Giuratrabocchetti si trovano a loro agio e possono muoversi con apparente disinvoltura, scarsa efficacia e solenne incompetenza. Le scartoffie degli uffici, degli studi professionali, dove tutto è mescolato, e il documento che si va cercando in quel momento è sempre l'ultimo che si trova, sotto una pila scombinata di altre carte, bolle e plichi di cui si è persa contezza.

Con l'avvento dell'informatica nel sistema di archiviazione dei documenti, il fenomeno dell'accularsi delle carte dovrebbe finire. Per il momento però si assiste ad un risultato opposto: invece di diminuire, le carte sono aumentate, perché a quelle preesistenti, si sono aggiunti i tabulati emessi dalle macchine. In realtà l'immagine dell'impiegato sempre in mezzo alle sue scartoffie, è una figura d'altri tempi. Richiama le mezze maniche del copista, i mozziconi di matita tenuti dietro l'orecchio, gli occhiali a pince-nez (stringi naso), la figura classica dello scribacchino di mezza tacca, detentore di un potere illimitato sulla massa amorfa degli analfabeti che facevano ricorso al suo alto servizio di scrivano, immortalata sullo schermo da Renato Rascel, nel suo "Policarpo Ufficiale di scrittura".

Ma la parola scartoffia non è tenera: ha un connotato di spregio che si manifesta subito dopo il tono scherzoso col quale viene pronunciata. Ed è sommamente efficace se rivolta a quanti fanno mostra di apprezzare i libri più di ogni altra cosa, la carta stampata, i manoscritti, documenti e reperti da specialisti semiologi, senza i quali a sentir loro non si potrebbe vivere.

Di poco differente il senso della parola "scartafaccio", che letteralmente è in "fascio di carte", tipo libro mastro o quaderno di appunti, fatto di fogli volanti, tenuti insieme alla buona. Il più famoso scartafaccio della nostra letteratura è quello dal quale il Manzoni nella sua finzione, dice di aver tratto la storia dei Promessi Sposi, scritta da un ignoto autore del seicento e da lui rinvenuto per caso nel fondo di un baule.

Anche "scartabello" è un termine simile ai precedenti, e con esso si intende uno scritto di poco conto. Mentre "scartabellare", che da esso deriva, significa sfogliare da un capo all'altro uno scartabello, o comunque un fascio di carte, o anche un libro, alla ricerca di un passo.

Policarpo Ufficiale di Scrittura

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