SCRITTURA CREATIVA

Forse perché sono un ignorante ('in materia finanziaria'? chiedeva Totò al finanziere Aldo Fabrizi, No, in tutto, rispondo io), ho letto sempre con piacere le recensioni dei critici letterari, cercando di arricchire le mie scarse risorse interpretative dei libri che leggevo, ed anche di quelli che non avevo intenzione di leggere. Però sono rimasto alla bella prosa di scrittori come Giacomo De Benedetti, Nicolino Sapegno, Oreste Del Buono, Giovanni Macchia, Cesare Garboli, Franco Fortini, Alberto Asor Rosa, Pietro Citati e Luigi Magris e non conosco i nuovi canoni di quest'arte (preferisco parlare di arte e non di scienza).

In tempi come questi, in cui imperano scuole e corsi (anche per corrispondenza) di scrittura creativa, mi trovo alquanto disorientato quando leggo articoli come quello che vi propongo sotto, scritto da un valido critico letterario di un noto giornale di opinione .

“La prossima volta saremo felici” di “Oliviero Malaspina (Galata Editore)

Cazzo che capolavoro questo libro. Finito adesso. Fogli di gesti strappati al dolore del silenzio, un Fabrizio De Andre’ come sarebbe stato De Andre’ se davvero fosse stato De Andre’. Più che racconti sono l’arto mancante della nostra vita disgiunta dal senso, impregnati da quella essenza dell’apparenza che ci rende ciechi davanti a quegli specchi delle nostre cadute.

Le cadute di quelli che chiamano perdenti perché dovrebbero chiamarli veggenti nel loro egoismo puro talmente puro da diventare altruismo. Non è un libro. È qualcosa dell’altro. Qualcosa che riguarda tutti noi, molestati ma mai stuprati dal quelle ragnatele che ci condannano a vivere appesi a un filo di ragnatela chiamata speranza. Un libro che non riuscirei a recensire perché se lo dovessi recensire, per essere davvero un critico onesto, dovrei lasciare le parole - tutte le parole a questi racconti che diventano il catrame di piume che mai ha liberato dei nostri voli a raso suolo. In Oliviero Malaspina c’è un genio (in)compreso nel prezzo di copertina che ogni editore dovrebbe far suo. Se fossimo in America questo libro circolerebbe nelle università di scrittura creativa come fotocopie furtive, da tramandare con parsimonia ma al tempo stesso con generosità perché non è possibile tenere dentro se stessi un libro che non raccoglie racconti. Più che racconti è un’epifania, sono la dimostrazione che il lettore esiste se lo spiumi nell’angolo di quel ring della esistenza che ci ostiniamo a chiamare vita. “La prossima volta saremo felice” non è una promessa: è un appuntamento per un presente mai veramente passato. Forse trapassato da come lo maltrattiamo, ignorandolo nel cuore di notti divorate dal tempo perso. È vero: ci sono echi evidenti di Alvaro Mutis, Lobo Antunes, Céline (quello da “Mea culpa” ma anche quello da “Viaggio al termine della notte”), c’è la “Cecità” raccontata da Saramago, ma c’è soprattutto Malaspina che porta la proroga benedizione nel cognome. I suoi scatti d’ira fiumi d’inchiostro capaci di essere sintetizzati in una riga, in parole che sono versi, scritti per chi cerca con i denti nella carne della vita la vera libertà dai quei fili spinati che ci imprigionano e ancora più spietati perché sono invisibili. Malaspina ci racconta di un mondo di apparenti perdenti: decisi a continuare a sbattere contro un muro che non è più nemmeno un muro di gomma: perché non ci rimbalzi contro ma ci svanisci dentro. E se ci pensate è terribile. Come chi vive, in “direzione ostinata e contraria” per cercare una “goccia di splendore”. Qui ogni pagina è una (s)coperta che non sai da che parte tirare perché da qualsiasi parte ti ritrovi nudo, vergogna di una mente che (s)vendiamo ogni giorno anche ormai al minor offerente. Ma ripeto: non posso scrivere nulla di questo libro perché ogni passo è un miracolo che sta a voi scoprire. Perché, come scrive Oliviero Malaspina, “ Vi chiedo scusa se non sono riuscito a darvi tutto il bene che volevo, mentre sono riuscito a fare tutto il male che non avrei voluto”. Non c’è espiazione in Malaspina se non continuare a vivere in un mondo che se lo accetti così come minimo sei un idiota. E noi davanti a queste pagine ci troviamo come siamo. Idioti in marcia

Confesso che nonostante le mie perplessità sul tono e sul contenuto del testo, a cominciare da quel 'cazzo' iniziale che sinceramente a me sembra troppo colloquiale, da cantina, forse in uso presso quei ritrovi di scapigliati accaniti ante e post litteram, con quelle visioni abbastanza inquietanti anche e forse perché, poco comprensibili, un profluvio di sinistri bagliori, di deliri, per concludere che – e meno male – lui, il critico non trova le parole per recensire il libro che ha appena finito di leggere, imponendoci di 'accattarlo' subito e scoprire da noi i tesori che vi sono contenuti, ebbene nonostante tutto questo, lo scritto di cui sopra il suo effetto l'ha ottenuto: mi ha convinto a leggere il libro così spavaldamente recensito (pena non essere compreso fra quegli idioti in marcia di cui alla conclusione dell'articolo).

Voglio sapere se quel filo di ragnatela che si chiama speranza regge anche un dinosauro amante della bella prosa, corretta, comprensibile, non visionaria, come sono io.

(So bene che essere visionari in letteratura è una bella qualità, ma via, est modus in rebus e io credo che un limite a questa benedetta scrittura creativa, pure ci sia.).

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