AGNOSTICO

Il problema della esistenza di Dio o di un Dio o Essere Superiore che governa il mondo (1) è il 'busillis' (2) che ha ossessionato l'uomo fin dai tempi più antichi, tanto che. tra chi crede e chi non crede, o crede a metà, la partita è ancora aperta.

Mentre è chiara la posizione di chi ha fatto una scelta e crede, o al contrario si è convinto della assoluta inesistenza di un dio, meno decifrabile e più articolata è quella di chi non ha fatto nessuna scelta, pur essendosi posto il dilemma, oppure è del tutto indifferente al problema e non si è mai preoccupato di risolverlo.

In questo 'mare magnum' dell'indecisione o dell'indifferenza, si trovano un'infinità di posizioni che vanno con molte sfumature da quelli che sono rosi dal dubbio e possono essere, come ha detto il card. Martini, atei che vogliono credere o credenti che si sforzano di non credere, a quelli che sostengono che razionalmente non si riesce a dimostrare né l'esistenza di Dio, né la non esistenza, quindi è inutile porsi il problema.

Tutto ruota intorno ad una parola greca, 'gnosis', che vuol dire conoscenza.

La conoscenza è all'origine di tutti i guai. Pensate quanta simbologia ma anche quanta preoccupazione per non dire timore c'è nell'invenzione di in Dio che vieta ad Adamo di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza. E quanto ardire o serena incoscienza nella figura di Eva, la progenitrice, che induce Adamo a trasgredire. Lei è la vera eroina della Genesi.

Da quel divieto trasgredito è derivata la dicotomia che ancora ci portiamo dietro tra scienza ed etica.

Esiste un'etica laica, oltre quella che deriva dai principi della religione. Quello che fu posto come esigenza di un Dio geloso della propria conoscenza, che quindi punisce l'uomo che orgogliosamente si erige a suo emulo, oggi diventa esigenza etica dell'uomo con se stesso, il rispetto della natura umana.

Fin dove è possibile spingere la conoscenza, senza intaccare i principi etici che governano la coscienza dell'uomo? Indipendentemente dall'essere religioso o meno, fin dove è lecito spingere la ricerca?

I credenti, 'credono'. E' una evidente tautologia. Ma tra i credenti che credono si debbono distinguere quelli che credono per tradizione, per abitudine familiare, per non apparire diversi, oppure per pura convenienza. I veri credenti sono pochi; i più credono di credere. Ma sono religiosi solo formalmente, oppure per ipocrisia, vedi il fenomeno dei neo-farisei di cui ho parlato in altra sede.

Dagli atei, che non credono in modo assoluto e ci tengono a farlo sapere, bisogna distinguere gli agnostici (3), i quali non si pronunciano; Magari hanno un'idea di religiosità, o propendono per la negazione, ma non prendono posizione: tengono sospeso il giudizio, per mancanza di volontà e per la constatazione che non si hanno ragioni sufficienti per decidere in uno o in un altro senso.

Gli agnostici si distinguono dagli scettici, dai quali concettualmente provengon
o, per il fatto che questi sono più radicali nella loro posizione e propendono per negare l'esistenza di Dio, pur sapendo che non vi sono prove di tale non esistenza.

La posizione del laico, infine, si distingue da tutte le altre, perché il laico ritiene che, indipendentemente dalle sue convinzioni circa l'esistenza o inesistenza di Dio, le cose di questo mondo vadano risolte in base alla legge umana o non quella divina, eventualmente esistente. La cosa riguarda essenzialmente la politica, lo stato e le scelte da fare per la convivenza tra credenti e non credenti, senza che esse siano condizionate dalle idee religiose di un gruppo, sia esso minoritario, o anche maggioritario. Si tratta quindi di una modalità di pensiero.

Il pensiero laico non ha nulla contro le religioni, ma queste non debbono interferire o comunque influenzare la decisioni per quanto riguarda la vita civile delle nazioni.

Per questo il credente può essere anche laico (4), così come l'ateo di norma è favorevole alla libertà di religione dei suoi concittadini.





1) Con questa parola si intende tutto il complesso degli universi stellari.


2 )Questa parola , che deriva da una errata divisione in sillabe della frase latina 'in diebus illis, che vuol dire 'in quei giorni', che letta come 'in die busillis' , nel giorno del busillo, non aveva nessun significato, è stata adottata per indicare un ostacolo, una difficoltà, un enigma irrisolvibile, come lo era la parola stessa per il suo interprete amanuense.


 3) Da 'à', 'senza' e 'gnosis', conoscenza'

4) Non nel senso di non curiale, ma in quello di sganciato dal suo credo religioso.

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